La Gmg di Rio, il vero papa Francesco e la riforma della Chiesa
di Bernardo Cervellera
Alla Giornata mondiale della gioventù, il pontefice traccia la rotta del cambiamento che investirà non solo la Curia ma soprattutto la Chiesa, impegnata a facilitare l’incontro di Cristo col mondo. Egli prende a esempio Aparecida, un “mistero” nel quale si possono leggere le necessità della comunità cattolica contemporanea e le necessità del mondo. In piena comunione con Benedetto XVI e rimanendo estraneo alle categorie di “destra" e di “sinistra” con cui lo si vuole classificare.

Roma (AsiaNews) - La Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro avrà conseguenze per la Chiesa e il mondo. Non solo perché i circa 3 milioni di giovani sono partiti come missionari da questa incandescente settimana di festa, di messaggi e di gesti, ma anche perché papa Francesco, a pochi mesi dalla sua elezione, ha mostrato più a pieno il suo volto e ha tracciato le linee su cui sta lavorando per la riforma della Curia e di tutta la Chiesa.

Le Gmg sono state spesso giudicate come degli scoppi di entusiasmo temporaneo che però non fanno storia nella vita dei giovani. Eppure dentro la festa, le danze, le risa, le commozioni, è chiaro che dei tre milioni di giovani "molti sono arrivati come discepoli, tutti sono partiti come missionari". Il tempo farà verificare questa affermazione di Francesco a conclusione della sua "Settimana dei giovani", ma già fin d'ora è evidente che il messaggio ai ragazzi e alle ragazze che hanno invaso la spiaggia di Copacabana è stato sempre netto, cattolico e cioè legato a Cristo e alla responsabilità personale nel mondo.

Molti commentatori della Gmg si sono fermati al facile rapporto fra Francesco e i giovani - gli scambi di cappelli, magliette, gli abbracci, i sorrisi, le battute, le carezze ai malati, il bacio dei bambini - facendo scivolare il tutto in un sentimentalismo buonista e stucchevole. Altri, tradizionalisti, si sono scandalizzati della Via Crucis mimata, delle canzoni in stile rock, degli "ola" nei momenti più sacri. Nessuno dei due gruppi si è accorto - o ha voluto vedere - che il richiamo di Francesco alla dolcezza di Cristo si concludeva sempre in un invito alla responsabilità "controcorrente". Fino all'ultimo, anche ai volontari della Gmg, egli ha proposto scelte "controcorrente" come lo sposarsi o decidersi per la vita consacrata a causa di Cristo. In tal modo Francesco ha reso evidente che la commozione per il malato o il disabile è frutto di un incontro con la verità; e che dentro  i riti di massa ("pagani", come qualcuno ha definito le assemblee dei giovani) lo Spirito agisce plasmando le libertà e le vocazioni.

Il rapporto di Francesco con i giovani è fatto di gesti amichevoli e personalizzati (lo scambio di cappelli, il sorriso, il pollice alzato, la bevuta di "mate"), ma non scivola mai nel giovanilismo. Egli chiede ai giovani di andare oltre se stessi, oltre la palude delle "illusioni", fino ad abbracciare gli anziani "fonte di saggezza". Anzi ha detto ad un certo punto che giovani e anziani soffrono lo stesso destino di essere "scartati" dalla cultura contemporanea e ha proposto un'alleanza fra loro per costruire il futuro del mondo.

Questo stile e il contenuto del suo messaggio sta mostrando più a tutto tondo il volto di questo pontefice, sospettato spesso di accarezzare la mentalità dominante, di fare silenzio su questioni fondamentali di fede e di morale.

Alla Veglia del 28 luglio a Copacabana i giovani avevano puntato molto sulla figura di san Francesco, il santo che soffre di più manipolazioni al mondo (ecologista, pacifista, una specie di Peter Pan cattolico). Di tutto quanto si può dire su san Francesco, il papa ha ricordato la sua risposta alla chiamata del Signore: "Va' e ricostruisci la mia Chiesa". In più alla Veglia (e ai vescovi della Gmg) egli ha continuato a citare la Beata Teresa di Calcutta, una suore che potremmo definire "tradizionalista" (i rosari, le adorazioni eucaristiche, i digiuni,...), per spingere i giovani a rispondere "in fretta" all'appello alla missione, per portare Cristo nelle "periferie esistenziali" e nei luoghi del dolore.

Fra i commentatori si studia al microscopio ogni passo di Francesco per vedere se egli è "di sinistra" o "di destra", se "progressista" o "tradizionalista". Ma ormai queste categorie non tengono più: è passato il tempo delle etichettature concettuali, di partito, e Francesco sta mostrando un nuovo modo di vivere e di appartenere alla Chiesa.

Alcune settimane fa, alla celebrazione della Vita nell'Anno della fede, qualcuno è rimasto scandalizzato che egli non avesse citato la parola "aborto" o "eutanasia". Ieri, alla messa conclusiva della Gmg egli ha voluto che fra le "offerte" da presentare all'altare ci fosse anche una  bambina nata anencefala, cioè priva del cervello. La piccola è ancora in vita, nonostante questo tipo di menomazione porti rapidamente alla morte. Il fatto è che pur potendo scegliere di abortire - in casi simili le leggi del Brasile consentono questa opzione - i genitori della bimba, che il papa aveva incontrato il giorno prima, hanno deciso di portare avanti la gravidanza.  E si sono presentati all'altare in maglietta stampigliata con slogan contro l'aborto.

Questo papa fa discorsi, ma conosce l'eloquenza dei fatti - dei segni - e sa che nel nostro tempo i discorsi sono manipolabili fino a farli diventare ideologie. I fatti invece richiamano alla realtà e i segni alle realtà più profonde.

Molti si domandano come Francesco riformerà la Curia romana. Ma nei giorni di Rio egli ha già tracciato una pista su come vuole riformare la stessa Chiesa. E lo ha fatto riferendosi sempre all'Aparecida, alla Madonna patrona del Brasile, ma anche al documento del Celam del 2007, che ha visto proprio Francesco come protagonista ed estensore. Nel suo incontro con i vescovi del Celam e soprattutto in quello con i vescovi del Brasile (purtroppo non pubblicato da nessuno) si legge la sua lotta contro il clericalismo, l'autoreferenzialità, il razionalismo, il suo sostegno al contributo dei laici e delle donne ("Perdendo le donne la Chiesa rischia la sterilità").

Qualcuno, a sentire ciò si frega le mani e sogna già la vittoria della teologia della liberazione del passato, in rivincita contro "l'inquisitore" card. Ratzinger. Ma non lo è. Francesco ha citato Benedetto XVI come uno dei promotori dell'incontro di Aparecida e fra i difetti della Chiesa, egli cita proprio "la riduzione socializzante", con la sua "pretesa interpretativa in base a una ermeneutica secondo le scienze sociali". Ma parla anche di una Chiesa tentata dalla "proposta pelagiana", che "davanti ai mali della Chiesa ...  cerca una soluzione solo disciplinare, nella restaurazione di condotte e forme superate che, neppure culturalmente, hanno capacità di essere significative".

Entrambe - ed è ben visibile in America latina, in Brasile, ma anche altrove - ignorano la "'rivoluzione della tenerezza' che provocò l'incarnazione del Verbo. Vi sono pastorali impostate con una tale dose di distanza che sono incapaci di raggiungere l'incontro: incontro con Gesù Cristo, incontro con i fratelli".

Francesco ha citato la "cultura dell'incontro" anche ai politici brasiliani. Ma per lui questa è una specie di categoria teologica. Se c'è qualcosa che caratterizza questo papa è il suo desiderio, la sua spinta a fare di tutto perché l'uomo incontri Gesù Cristo e perché Cristo non sia fermato dalla nostra pusillanimità di cristiani ideologizzati.

È questa tensione che è alla radice della riforma della Chiesa: "La Chiesa - dice ai vescovi del Celam - è istituzione, ma quando si erige in 'centro' si funzionalizza e un poco alla volta si trasforma in una ONG. Allora la Chiesa pretende di avere luce propria e smette di essere quel 'misterium lunae' del quale ci parlano i Santi Padri. Diventa ogni volta più autoreferenziale e si indebolisce la sua necessità di essere missionaria. Da 'Istituzione' si trasforma in 'Opera'. Smette di essere Sposa per finire con l'essere Amministratrice; da Serva si trasforma in 'Controllore'. Aparecida vuole una Chiesa Sposa, Madre, Serva, facilitatrice della fede e non controllore della fede".

Da qui si svolge una rivoluzione copernicana sul modo di fare i preti e di fare i vescovi: "I Vescovi devono essere Pastori, vicini alla gente, padri e fratelli, con molta mansuetudine; pazienti e misericordiosi. Uomini che amano la povertà, tanto la povertà interiore come libertà davanti al Signore, quanto la povertà esteriore come semplicità e austerità di vita. Uomini che non abbiano 'psicologia da príncipi'. Uomini che non siano ambiziosi e che siano sposi di una Chiesa senza stare in attesa di un'altra. Uomini capaci di vegliare sul gregge che è stato loro affidato e di avere cura di tutto ciò che lo tiene unito: vigilare sul loro popolo con attenzione sugli eventuali pericoli che lo minacciano ma soprattutto per accrescere la speranza: che abbiano sole e luce nei cuori. Uomini capaci di sostenere con amore e pazienza i passi di Dio nel suo popolo. E il posto del Vescovo per stare col suo popolo è triplice: o davanti per indicare il cammino, o nel mezzo per mantenerlo unito e neutralizzare gli sbandamenti, o dietro per evitare che nessuno rimanga indietro, ma anche, e fondamentalmente, perché il gregge stesso ha il proprio fiuto per trovare nuove strade".

E per quanto riguarda la testimonianza nella società, ai vescovi brasiliani ha detto:  "C'è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele".