Gerusalemme: la Croce distrugge i muri della paura
di Bernardo Cervellera

Conversazione con p. Pierbattista Pizzaballa, ofm, Custode di Terra Santa.


Gerusalemme (AsiaNews) – Gerusalemme, il luogo della Croce, è la città dove si assapora la vicinanza di Dio, ma anche l'abisso della violenza, delle pretese dell'uomo. Segnata dall'amore, la città è anche segnata da muri e divisioni, dalla paura fra israeliani e palestinesi, fra ebrei, musulmani e cristiani. La città santa è un luogo dove segni di morte convivono a fianco di segni di risurrezione. P. Pierbattista Pizzaballa, 40 anni, francescano Custode di Terra Santa, ha accettato di conversare con AsiaNews sulla missione della minoranza cristiana nei luoghi di Gesù e sul bisogno che essa ha di essere sostenuta da tutte le chiese del mondo.

Come si vive la Settimana Santa in questa terra dove Gesù è morto e risorto?

Per la prima volta dopo tanto tempo, quest'anno Gerusalemme è piena di pellegrini. Fra le strade piene di fedeli da tutto il mondo, c'è un clima di festa e di preghiera, che si era smarrito a causa della Seconda Intifada e delle violenze israeliane.  Le celebrazioni pasquali qui a Gerusalemme hanno sempre un clima speciale di religiosità e di attenzione. C'è anche un accavallarsi di riti e cerimonie che si richiamano fra di loro: la Pasqua ebraica, la Pasqua cattolica, la Pasqua ortodossa. Quest'anno le date sono distanti fra di loro, ma di solito vi è un intreccio di riti ebraici, orientali, latini.

Pasqua a Gerusalemme è  un avvenimento del passato o ha significato per l'oggi?

C'è differenza fra chi è cristiano e chi non lo è. Il Venerdì santo noi lo viviamo con profonda partecipazione, emozione, con solidarietà alle sofferenze di Cristo, al dolore e le ingiustizie nel mondo. Poi fai 10 passi e ti trovi fuori in una società che non sa, che continua la sua vita. Per noi è un tempo eccezionale, per loro banale vita quotidiana. Non è una critica a musulmani o agli ebrei: solo ci rendiamo conto che questo evento così centrale e fondante per noi, lascia altri totalmente indifferenti. In Europa – anche se in modo scontato - questi giorni sono segnati dalla festa; qui ci è chiesta un'attitudine diversa. Capisci che questo Cristo che muore in croce, che è fonte della mia salvezza, è fonte di salvezza per loro, anche se non lo sanno. Questo mi spinge ad essere più fedele e innamorato, testimone di un fatto avvenuto proprio qui, pur rispettando la loro fede e la loro storia. È come portare una piccola croce: noi doniamo la presenza di Gesù nella nostra passione interiore.

Per tutti i cristiani Gerusalemme è il punto di inizio della fede. Eppure Gerusalemme è anche un abisso amaro per l'umanità: una guerra fra israeliani e palestinesi che dura da 100 anni; difficoltà di collaborazione fra cattolici e orientali… È forse una beffa? Un'ironia?

Assolutamente no: Gerusalemme è il luogo dove Dio e l'uomo si sono incontrati. La bellezza di questa città sta nella meraviglia di quest'incontro. Essa è anche il luogo dove si assapora la distanza, l'abisso fra il disegno di Dio e la pretesa dell'uomo. Sembra una contraddizione, invece le due cose vanno insieme. A Gerusalemme non ci sarebbe una simile concentrazione di dolore, se non ci fosse stato il Cristo. Del resto, Cristo ha assunto tutto il dolore del mondo, e qui si vede proprio tutto il dolore del mondo.

Quali segni di morte e di risurrezione si percepiscono a Gerusalemme?

Vi sono ingiustizie, dolori, sofferenze che troviamo raccolte nella croce di Gesù. Ma tutte nascono da un dolore più a monte: la paura. Questo vale per israeliani e palestinesi, per ebrei, musulmani, cristiani. Noi cristiani ad esempio, parliamo tanto di riconciliazione, ma poi non siamo credibili.

Questa paura ad accoglierci, ad aver fiducia l'uno dell'altro, porta a conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Gesù muore in croce in queste paure. Ma proprio lui, per dirla con san Paolo, è venuto a distruggere il muro di inimicizia (cfr Efes.  2, 14). La costruzione israeliana del Muro, è una grande ingiustizia: essa impedisce a tante persone di andare al lavoro, o a scuola. Nei palestinesi vi è  un'ingiustizia di base, che è il non accogliere fino in fondo l'esistenza degli israeliani e il loro diritto a vivere in pace e nella sicurezza.

Quanto ai segni di risurrezione, essi sono piccoli e non fanno rumore. E sono frutto della conversione del cuore, che per amore di Gesù, trasforma l'odio in amore. Un'insegnante di Betlemme, che lavora a Gerusalemme, mi ha detto che per molto tempo è stata sempre umiliata ai check point. Ad un certo punto ha deciso di non tenere più gli occhi bassi e odiare i soldati, ma di guardarli negli occhi, come suoi simili. E questo l'ha liberata.

In mezzo alle violenze vi sono tanti movimenti laici e religiosi, di israeliani e palestinesi che, nonostante le barriere, vogliono continuare a incontrarsi. Vi sono poi tantissime persone che lavorano per i poveri, per i diritti umani, e pagano di persona per il loro impegno.

Un altro segno di resurrezione sono i catecumeni. A Pasqua verranno battezzati due israeliani. delle mie vecchie comunità di lingua ebraica; saranno battezzati anche dei palestinesi, e poi molti thailandesi, srilankesi, filippini che sono qui a lavorare come badanti, muratori, domestici. A Gerusalemme la Chiesa è davvero la casa di tutti i popoli.

Il Venerdì santo nelle chiese di tutto il mondo vi è sempre una colletta per la Terra Santa…A che serve questa raccolta?

La prima colletta per Gerusalemme è stata voluta da san Paolo. Siamo perciò nella pura tradizione apostolica. La colletta è importante: essa esprime il fatto che Gerusalemme appartiene a tutti i cristiani del mondo. Qui in Terra Santa noi cristiani siamo una minoranza; da soli non riusciamo a sussistere. Per questo la Chiesa universale si sente in dovere di sostenerci. A cosa servono questi soldi? Certo a tenere in piedi e restaurare le strutture: chiese, scuole, imprese. Ma più del 60% vanno a progetti di sostegno per la popolazione cristiana. È stata la Congregazione vaticana per le Chiese orientali a dare quest'indicazione: usare la colletta per sostenere anzitutto le persone, poi le strutture.

Un consiglio  ai cristiani che vogliono venire a Gerusalemme…

Grazie a Dio i pellegrinaggi stanno tornando. Il mio appello è che tutti vengano in Terra Santa perché è sicuro, e non vi sono pericoli. Venire in terra Santa è un modo per sostenere i cristiani locali, ma anche un modo per tornare alle radici della propria fede e andare al cuore del mistero che dà la vita al mondo.