L'attacco alla Siria 'è inutile. Al Medio Oriente serve tolleranza, non armi'
Philip J. Crowley, fino al 2011 assistente per la politica estera dell'amministrazione Obama, spiega ad AsiaNews gli scenari geopolitici nel caso di una caduta di Bashar al-Assad. Il Paese teatro di almeno quattro conflitti: quello fra regime e ribelli, Arabia Saudita e Iran, Israele ed Hezbollah, Al-Qaeda e il mondo arabo moderato. Solo con leader moderati e carismatici i Paesi arabi potranno trovare la loro stabilità. Ma sarà un processo lento, di una generazione.

Washington (AsiaNews) - "Quanto accadrà in Siria avrà ripercussioni su tutta la regione, con declinazioni molto diverse da Paese a Paese... Ciò di cui questi Paesi hanno bisogno è una figura che li conduca verso una società più tollerante". E' l'opinione di Philip J. Crowley, ex assistente e portavoce del Dipartimento di Stato Usa e ora docente alla George Washington University. Egli ha servito l'amministrazione Obama dal 2009 al 2011. Intervistato da AsiaNews, il diplomatico statunitense spiega gli scenari futuri e le conseguenze dell'attacco contro Damasco pianificato dagli Stati Uniti con l'appoggio di Gran Bretagna, Francia, Turchia, Canada e Lega Araba.

"In Siria - afferma Crowley -  non vi è un solo conflitto, ma varie guerre che si intersecano l'una con l'altra. Vi è lo scontro fra Assad e i ribelli, una possibile guerra fra Arabia Saudita e l'Iran, l'ombra di un conflitto fra Israele ed Hezbollah e la lotta di al-Qaeda contro i governi arabi e occidentali".

Ai problemi regionali si aggiunge la lotta fra Russia e Stati Uniti per l'egemonia in Medio Oriente. Un confronto che secondo l'ex portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha radici profonde: "Negli ultimi 35 anni un certo numero di governi della regione ed ex partner dell'Unione sovietica hanno stretto relazioni con gli Stati Uniti a spese della Russia. Ciò ha diretto l'agenda del presidente Putin in Siria. Inoltre Mosca è convinta che i regimi non possano essere sovvertiti con la forza. Quanto accade negli affari interni di un Paese non riguarda la comunità internazionale". Secondo l'ex membro del Dipartimento di Stato, dopo gli effetti della guerra in Libia la Russia è determinata ad evitare una simile via d'uscita in Siria. "Gli Stati Uniti - spiega - credono invece che Assad abbia perso la sua legittimità a causa delle vittime fatte in questi due anni e ora con l'uso di armi chimiche".

Alla domanda sul rafforzamento di al-Qaeda dopo 10 anni di lotta al terrorismo, condotta prima da George W. Bush e continuata da Obama, Crowley risponde citando i risultati ottenuti in questi anni, ma ammette anche errori, alti costi umani ed economici e scenari imprevisti. "Gli scontri fra terroristi e forze governative in Nord Africa e Medio Oriente - spiega - sono un conflitto all'interno dell'islam. Sempre più leader musulmani respingono l'idea politica e religiosa proposta da al-Qaeda". Secondo l'ex diplomatico sostenere i governi a isolare le frange estremiste è la lotta che conta di più per gli Usa: "Washington sta cercando di aiutare le varie fazioni a rafforzare le loro capacità di affrontare al-Qaeda con le proprie forze. Per anni gli Usa hanno aiutato i governi a combattere il terrorismo, ma non possono continuare da soli. Quanto abbiamo fatto è stato efficace, ma ha avuto costi molto elevati e conseguenze indesiderate".

Per il futuro del Medio Oriente, l'ex portavoce del Dipartimento di Stato spera in una trasformazione politica dei Paesi della Primavera araba, tale da consentire l'inclusione di tutte le componenti della società, in particolare le minoranze religiose. Per ottenere tale risultato Egitto, Tunisia e Libia hanno bisogno di leader moderati appoggiati dalla popolazione, ma finora nessun politico sembra avere le capacità adeguate e il consenso.  "In questo momento - afferma - gli Stati della Primavera Araba sono governati da una mentalità a somma zero. Se tu vinci, io perdo. Questo è tragico, ma purtroppo non è così sorprendente. Ciò di cui questi Paesi hanno bisogno è una figura che li conduca verso una società più tollerante, come fu Nelson Mandela per il Sud Africa, inclusiva e che riunisca intorno a sé la società civile. Purtroppo un tale leader non è ancora emerso.  È drammatico, ma purtroppo un cambiamento positivo non si verifica in una sola notte. Questo sarà il lavoro di un'intera generazione". (S.C.)