La storia di Mangalika, cattolica sieropositiva che aiuta i malati di Aids
di Melani Manel Perera
La donna, 53 anni, ha scoperto di aver contratto il virus da suo marito, lavoratore migrante. L'uomo non resiste alla vergogna e si suicida. La fede in Dio, il sostegno dei familiari e l'incoraggiamento di un medico - malato come lei - spingono Princy Mangalika a fondare una ong per chi è affetto da Hiv/Aids. In Sri Lanka questa malattia è ancora stigmatizzata, anche se nel Paese almeno 3mila persone ne sono colpite. "Mi hanno minacciato e bruciato la casa - racconta - ma ringrazio il Signore per avermi indicato la strada".

Colombo (AsiaNews) - Aiutare i malati di Aids e i sieropositivi dello Sri Lanka a non vergognarsi della propria malattia, ad affrontare lo stigma sociale e a curarsi. È l'obiettivo di Princy Mangalika, 53enne cattolica che 10 anni fa ha scoperto di essere sieropositiva. Superato il trauma, la donna ha fondato - e dirige tuttora - il Positive Women's Network, ong che si occupa dei malati di Hiv/Aids. "Quanto mi è accaduto - racconta Mangalika ad AsiaNews - è stato per volere di Dio, Egli voleva che io servissi i tanti che, come me, hanno contratto il virus. Oggi sono molto felice".

In Sri Lanka i malati di Hiv/Aids diventano spesso vittime di persecuzione da parte della società, perché il virus è considerato fonte di vergogna e impurità. Inoltre c'è poca informazione su come si può prevenire, contrarre e curare la malattia. Secondo dati ufficiali, oggi nel Paese si contano circa 3mila malati.

La storia di Mangalika inizia nel 2000, quando scopre di aver contratto il virus da suo marito. Per molti anni l'uomo, di religione buddista, aveva lavorato all'estero in vari Paesi, e in uno di questi si è ammalato. Quando ha saputo della malattia, ricorda, "non mi sono arrabbiata con lui. Lo amavo molto, ed era un padre amorevole per le nostre due figlie".

"Mio marito - racconta - si ammalava spesso. Aveva continue influenze e raffreddori, mai nulla di serio, per questo un giorno siamo andati in ospedale per fare delle analisi. Ci hanno suggerito di fare il test per l'Hiv, che è risultato positivo. Purtroppo, la notizia si è sparsa subito nel villaggio, ed è allora che è cominciato l'incubo".

Mangalika e la sua famiglia hanno iniziato a ricevere lettere minatorie. "Alcuni - spiega - tiravano sassi contro la nostra casa, gridavano oscenità quando camminavamo per strada. Allora non conoscevo la malattia, né sapevo come curarla. Ero solo molto spaventata per le mie ragazze". La vicinanza della famiglia non aiuta l'uomo, che non riesce ad accettare la realtà. Un giorno sparisce: la donna porta le figlie dai suoi genitori e inizia a cercarlo. Alla fine, una telefonata della polizia le comunica che hanno trovato il corpo del marito: egli era andato nel tempio buddista e si era avvelenato. "Erano passati solo tre giorni da quando avevamo scoperto della sua malattia".

I problemi per la donna e le sue figlie non finiscono, perché allo stigma del virus si aggiunge quello di un marito morto suicida. "Non volevano che lo seppellissi, quindi ho celebrato il funerale lontano dal nostro villaggio. Una notte abbiamo sentito dei rumori, ci siamo alzate e abbiamo capito che qualcuno aveva dato fuoco alla nostra casa". Malinka capisce di non poter più vivere lì e decide di trasferirsi dai suoi genitori, a Ragam. "Loro ci hanno accolto con amore - racconta - e grazie al sostegno che ho trovato mi sono decisa a fare il test. Quando ho scoperto di essere anch'io sieropositiva ho toccato il fondo. Non sapevo dove andare, né cosa fare".

È così, continua, "che mi sono messa nelle mani di Dio e sono andata dalla dottoressa Kamelika Abeyratne, che mi ha incoraggiata a far conoscere il dramma dell'Hiv/Aids in Sri Lanka". Anche il medico era sieropositivo, per colpa di una trasfusione del sangue. "La sua forza mi ha dato la spinta per fondare Positive Women's Network nel 2009".

Al momento, spiega, "nella mia casa-ufficio vivono numerosi pazienti. Non hanno un posto dove andare, così qui possono curarsi e ricevere tutti gli esami necessari. Mi occupo di nutrirli e sostenerli nei loro momenti di debolezza. Per questo, sono alla continua ricerca di aiuti economici. Siamo ancora in affitto e avremmo bisogno di una sede tutta nostra". In totale, i malati trattati dalla ong di Mangalika sono 300. Tra questi, 174 sono bambini e 32 sono sieropositivi.

"Ringrazio il Signore per tutto quello che mi è accaduto - sottolinea - e anche le mie due figlie, che oggi sono cresciute e hanno creato le loro famiglie".