Le relazioni sino-vaticane dopo la morte del papa
di Joseph Zen

Hong Kong (AsiaNews/SE) – In un editoriale firmato, apparso sull'edizione di ieri del Sunday Examiner, mons. Joseph Zen chiarisce quali sono gli ostacoli nelle relazioni fra Cina e Vaticano. Il vescovo di Hong Kong insiste sul fatto che i problemi non derivano dai rapporti fra il Vaticano e Taiwan, ma sono legati alla pretesa cinese di controllare le nomine dei vescovi. Zen accusa inoltre l'Associazione Patriottica di essere una forza conservatrice in Cina. Accusa il vice presidente Liu Bainian per aver fallito, poiché  non ha aiutato il governo a capire la natura pastorale e spirituale della missione del papa.

Mons. Zen sottolinea che la Cina non può sperare in un cambiamento della politica vaticana nei confronti di Pechino senza che il governo centrale non dia precise garanzie di libertà di religione e comprenda che la nomina dei vescovi non è "un'interferenza negli affari cinesi", ma un compito pastorale del Santo Padre.

 

Tutti i fedeli cinesi, che hanno avuto l'opportunità di incontrare, baciare la mano o parlare con Giovanni Paolo II, possono confermare che il papa ha sempre assicurato di pregare ogni giorno per la Cina.

Quando mons. John Tong ed io siamo stati ricevuti da Sua Santità, poco dopo l'ordinazione episcopale, il Santo Padre, quasi come un bambino piccolo che implora la madre, continuava a ripetere: "Voglio andare in Cina, voglio andare in Cina!".

Nel ricordo funebre per il Santo Padre, ho detto che uno dei suoi più grandi dispiaceri è stato il non aver mai potuto visitare la Cina, né Hong Kong. Questo è stato il suo sogno più grande e più a lungo desiderato.

Di recente, in una conferenza stampa, ho spiegato in dettaglio che l'allora segretario generale Anson Chan, ha fatto del suo meglio per assicurare il permesso di far venire il papa ad Hong Kong, in occasione della conclusione del Sinodo asiatico dei vescovi. La risposta di Pechino fu che, poiché non vi erano rapporti diplomatici fra Cina e Vaticano, la venuta del pontefice era inappropriata.

Mi si chiede se con la morte di Giovanni Paolo II e l'arrivo di un nuovo papa, ci sarà un nuovo ripensamento sulle relazioni diplomatiche fra Cina e Vaticano. La mia risposta è che "obiettivamente" non vi sarà nessuna differenza. La politica vaticana, che lavora per una veloce instaurazione dei rapporti con la Cina è ben costruita e non cambierà con la venuta di un nuovo papa. Purtroppo, è la Cina che sembra non avere alcun interesse negli ultimi anni.

Il desiderio di dialogo, che potrebbe guidare verso le relazioni diplomatiche, è così forte che l'11 febbraio 1999, l'allora Segretario di Stato vaticano, card. Angelo Sodano, rilasciò la seguente dichiarazione: "La nostra nunziatura a Taipei è la nunziatura in Cina e, se il governo centrale lo permette, possiamo spostarla a Pechino. Non dico stanotte, o domani".

L'affermazione asuo tempo fu un'offesa alla sensibilità della gente di Taiwan, tanto che io osai farlo notare in pubblico.

L'affermazione può aver portato Pechino a credere che il Vaticano fosse pronto ad una resa totale. In realtà, quella dichiarazione era espressione di una forte attesa. Ad ogni modo, dopo aver capito che il Vaticano non era pronto alla resa, la situazione è rimasta in stallo.

Durante la recente malattia del Santo Padre, ed anche dopo la sua morte, Pechino ha inviato parole cordiali, che hanno fatto crescere la speranza di poter instaurare relazioni Sino-Vaticane. Insieme con gli auguri di guarigione e, più tardi, con le condoglianze, sono state riproposte le 2 condizioni per un eventuale allacciamento dei rapporti: in primo luogo rompere le relazioni con Taiwan, ed in secondo luogo non interferire negli affari interni cinesi, in particolare quelli religiosi. Prima di ogni dialogo od eventuale consenso, non ci possiamo aspettare che qualunque rappresentante cinese dica cose diverse da queste. Ma la gente deve sapere che il vero problema non riguarda Taiwan, ma le interferenze.

Rompere i rapporti con Taiwan potrebbe essere problematico, perché mai nella storia la Santa Sede ha interrotto in modo unilaterale i rapporti diplomatici con alcuno stato. Si deve anche ricordare che furono le autorità di Pechino ad espellere il nunzio dalla Cina ai tempi in cui Taiwan era riconosciuta dalle Nazioni Unite come il legittimo governo della Cina. Nondimeno, le parole del cardinale Sodano hanno reso chiaro che la Santa Sede è pronta per questo passo. Questa è una informazione pubblica. Sono rimasto stupefatto nel vedere che i media hanno trattato questa cosa come se io avessi rivelato un segreto.

I motivi della Santa Sede nel fare un passo, anche se in maniera riluttante, sono stati accettati anche dai vescovi di Taiwan. La Santa Sede si trova a dover affrontare un dilemma: mantenere lo status quo e lasciare i fedeli cattolici cinesi al loro fato, oppure cercare di aiutarli ad ottenere una normale libertà religiosa e giungere a un patto con il governo di Pechino. All'interno del governo di Taiwan vi sono persone vicine alla Santa Sede, e la Santa Sede stessa confida che, in qualunque modo la situazione si sviluppi, la Chiesa cattolica di Taiwan continuerà a godere di piena libertà religiosa.
Nel 1997 noi 3 vicari generali della diocesi di Hong Kong, ci siamo recati in visita ufficiale alla sede di Pechino del Fronte Unito del Partito comunista. Il vice direttore di allora parlò a proposito della prima condizione. Non appena io dissi che la prima condizione non creava alcun problema, immediatamente spostò il discorso sulla seconda. Naturalmente, non sarebbe giusto che la Santa Sede concluda le sue relazioni con Taiwan prima di un eventuale inizio dei colloqui; in altre parole, prima che Pechino dia una qualunque assicurazione per una possibile normalizzazione della situazione religiosa.

Definire la nomina dei vescovi da parte del papa una "interferenza negli affari interni alla Cina" è un chiaro fraintendimento. La nomina episcopale è un compito pastorale del Santo Padre. Essa è, per sua natura, una questione puramente religiosa. Tutte le grandi nazioni lo accettano. Nessuno vede in questo compito del Santo Padre un attentato alla sovranità o alla dignità nazionale. Mi chiedo se una multinazionale accetterebbe che i loro manager nelle filiali cinesi siano nominati dal governo di Pechino.

Alcuni governi, che in passato hanno voluto dire la loro sulle nomine dei vescovi nel loro paese, ora hanno tranquillamente rinunciato a questo privilegio.

Poso anche capire che, prima che si costruisca un rapporto di mutua fiducia, la Santa Sede potrebbe accettare una qualche partecipazione del governo centrale. Questo, Pechino lo sa, e non ci dovrebbe essere alcun problema. Non è una questione insolubile. Vi è un modo vietnamita ed un modo cubano di fare queste cose, e certo una qualche via e un qualche accordo si può trovare.

La sera del 3 aprile, il vice presidente dell'Associazione patriottica cinese, Liu Bainian, in televisione ha detto una cosa su cui non sono d'accordo. Egli ha affermato che il vescovo Zen era ignorante del fatto che la Cina stava lavorando per instaurare rapporti diplomatici fra Cina e Vaticano. Vorrei avere realmente l'occasione di verificare i fatti con Liu. Ha detto anche che il vescovo Zen farebbe meglio a persuadere le forze conservatrici in Vaticano a non creare ostacoli per i negoziati. Mi sembra proprio che l'ignorante sulla situazione del Vaticano sia proprio Liu.

Parlare di forze conservatrici in questo contesto vuol dire pensare di vivere in un'era scomparsa da tempo. Ma, più seriamente, insinuare che Giovanni Paolo II abbia ceduto a forze conservatrici, o sia divenuto egli stesso un conservatore, sarebbe una gravissima distorsione della realtà ed una espressione di non rispetto verso questo grande, saggio capo della Chiesa.

Temo che le vere forze conservatrici siano proprio i cosiddetti fedeli dell'Associazione Patriottica, come Liu, che hanno fallito nel far comprendere al governo centrale la natura pastorale del ministero del papa. Per ovvie ragioni, se le relazioni si normalizzeranno, senz'altro loro e specialmente Liu non saranno più in grado di sovrastare l'autorità dei vescovi e tenere nelle loro mani il controllo della Chiesa.

Io e Liu non siamo più giovani, e non è lontano il giorno in cui dovremo rendere conto a Dio della nostra vita. Insieme, mettiamo da parte ogni piccolo interesse personale e facciamo qualcosa di veramente buono per la Chiesa e per il nostro Paese.