Arcivescovo di Yangon: Matrimoni, conversioni e voto sono diritti personali inviolabili
di Francis Khoo Thwe
Mons. Bo sottolinea l’importanza dei diritti civili, base di una società democratica. Il matrimonio deve essere privo di coercizioni e aperto a persone di fede diversa. Libertà di conversione e diritto di voto anche per i leader religiosi buddisti, cristiani, musulmani e indù. Nei giorni scorsi a Yangon incontro interreligioso in tema di “l’armonia sociale”.

Yangon (AsiaNews) - Il matrimonio, la conversione a un'altra fede o a un culto diverso da quello di nascita e il diritto di voto - anche per i leader religiosi, siano essi buddisti, cristiani, musulmani o indù - sono diritti inviolabili della persona e del cittadino. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, che sottolinea con forza il valore e l'importanza dei diritti civili in una società democratica. Nei giorni scorsi i vertici delle principali religioni si sono riuniti nella capitale commerciale del Myanmar, per un incontro pubblico sul tema "Le radici religiose dell'armonia sociale", a meno di una settimana dalle nuove violenze interconfessionali nell'ovest del Paese. Alla conferenza hanno aderito un centinaio di persone, fra le quali lo stesso U Wirathu, il capo del controverso "969 Movement", responsabile secondo i critici di fomentare odio e divisioni contro la minoranza musulmana.

In questo periodo caratterizzato da contrasti e divisioni da un lato, ma anche dal tentativo di ricostruire e far convivere in maniera armonica le diverse anime della nazione, l'arcivescovo di Yangon elenca tre temi essenziali per una vera pacificazione: matrimoni, libertà di culto e diritto di voto.

"In tema di matrimoni" spiega mons. Bo "ciascun uomo e ciascuna donna devono essere liberi di sposarsi con persone di qualsiasi religione". Egli spiega che è tipico della "cultura" birmana cercare di soddisfare le aspettative dei genitori, ma questo non deve incidere sulla scelta del coniuge perché "nessuno, nemmeno i genitori devono impedire o spingere in modo forzoso" i figli a un'unione non desiderata. "I leader religiosi - aggiunge - hanno il compito di fare da guida ai coniugi e celebrare i riti secondo la fede di ciascuno". E nel caso di matrimoni misti è necessario "uno sforzo comune" delle rispettive guide perché siano celebrati entrambi i riti.

Per quanto concerne le conversioni ad altra religione, per il prelato si deve trattare di "una libera decisione" della "persona interessata". "Nessuno può forzare un altro a cambiare religione - aggiunge - così come ciascuno deve sentirsi assolutamente libero di convertirsi o rimanere nella religione di appartenenza". E lo stesso vale, conclude, per quanto riguarda la scelta di "non professare una religione o di dichiararsi ateo".

Infine il tema del diritto di voto, che deve essere caratteristica "di ogni cittadino". Mons. Bo vuole aggiungere che "tutti i leader religiosi dovrebbero avere la possibilità di votare" in Myanmar, così come avviene "in molte altre parti nel mondo". Monaci e monache buddisti, vescovi, sacerdoti e imam musulmani "dovrebbero poter votare" perché oltre ad essere guide spirituali e rappresentanti di una fede specifica, sono al tempo stesso cittadini.

Il Myanmar è una nazione caratterizzata da forti contrasti, soprattutto fra la maggioranza buddista e la minoranza musulmana. Sono dei giorni scorsi gli ultimi focolai di violenza in Myanmar, concentrati nello Stato occidentale di Rakhine dove si è registrato un attacco a un villaggio musulmano; vi è poi la campagna di un gruppo di monaci per l'approvazione di una legge parlamentare che limita i matrimoni misti. Elementi che non favoriscono l'integrazione e l'armonia in un Paese dove è forte la componente minoritaria, tanto a livello etnico quanto sul piano confessionale. E la coesistenza fra queste anime è essenziale per lo sviluppo futuro della nazione.

Dal giugno del 2012 lo Stato occidentale di Rakhine è teatro di scontri violentissimi fra buddisti birmani e musulmani Rohingya (800mila circa in tutto il Myanmar), che hanno causato almeno 200 morti e 250mila sfollati. Per il movimento attivista con base negli Stati Uniti Human Rights Watch (Hrw) nella zona è in atto una vera e propria "pulizia etnica" dal parte delle autorità. Il governo birmano considera la minoranza musulmana alla stregua di immigrati irregolari, provenienti dal vicino Bangladesh.