Un anno di Papa Francesco: la rivoluzione nella tradizione
di Bernardo Cervellera
Dal 13 marzo 2013 Jorge Mario Bergoglio, divenuto "vescovo di Roma", sta trasformando la Chiesa con la sua testimonianza personale. Il suo appello a una Chiesa dei poveri, all'uscire, a curare l'"ospedale da campo del mondo" sono il miglior frutto del Concilio Vaticano II. Pullulano le interpretazioni tradizionaliste e progressiste, di destra e di sinistra, ma questo papa vuole soltanto che il mondo incontri la salvezza di Gesù Cristo.

Roma (AsiaNews) - A un anno dall'elezione di papa Francesco a successore dell'apostolo Pietro, ci accorgiamo sempre più che egli sta guidando la Chiesa verso una rivoluzione, non combattuta con la spada ma con la testimonianza personale; non gettando via il passato, ma facendo rifiorire la tradizione autentica.

Lo si è notato fin dall'inizio, quella sera del 13 marzo, in cui presentandosi alla loggia della basilica di san Pietro ha chiesto di pregare insieme e il silenzio è subito disceso nella piazza gremita all'estremo, fino allora mormorante ed inquieta. Invece di proclamare programmi, ha chiesto silenzio per ascoltare il programma di Dio (quello che "sempre ci primerea", ci precede).

Il vescovo di Roma ha chiesto la preghiera dei suoi fedeli. Per qualche sprovveduto commentatore televisivo questo è il gesto con cui ci si sbarazzava del clericalismo piramidale. E in effetti, col suo inchino silenzioso il papa si è abbassato: per mostrare che egli non è un monarca, ma uno con un mandato, uno che si aspetta sul serio quello che miliardi di cattolici fanno ogni giorno con il rosario: "Preghiamo un Pater, Ave, Gloria secondo le intenzioni del sommo pontefice". L'elemento più tradizionale si è espresso all'unisono con l'elemento più rivoluzionario, più... progressista.

Mettere i due elementi insieme, il tradizionale e il progressista sembrano essere la caratteristica di Francesco. Quando parla dei poveri, della Chiesa dei poveri per alcuni questo è segno di un riscatto della vecchia teologia della liberazione, della Chiesa che "finalmente" si schiera nella società e combatte... Salvo poi - come si vede nell'Evangelii Gaudium (EG) che i poveri non vanno illusi e manipolati con messianismi politici, o guidati da intellettuali sordi e astratti, ma vanno nutriti anzitutto con la Parola di Dio e l'eucaristia!

Da questo punto di vista, Francesco è il frutto più maturo del Concilio Vaticano II e soprattutto della lettura "sana" del Concilio. Per tutti questi decenni - come magistralmente ha spiegato Benedetto XVI - la Chiesa si è divisa fra ermeneutica della rottura ed ermeneutica della continuità. Quella della rottura sottolineava il Concilio come spartiacque fra un passato e un presente-futuro; quella della continuità vedeva lo sviluppo della vita di fede in unità con il passato pur riletta e ri-attualizzata alle esigenze dell'uomo moderno. Per una strana cecità, la "rottura" veniva attribuita solo al cattolicesimo progressista, che finalmente poteva gettare alle ortiche i paramenti dorati, i tabernacoli, il gregoriano e si poneva a padrone delle liturgie; dimenticava volentieri i sacramenti per attuare la lotta di classe; voleva l'ortoprassi piuttosto che l'ortodossia e giudicava dall'alto in basso, come nemico, chiunque se ne stava fuori. Ma non si è visto che la "rottura" era presente anche in un modo stantio di ripetere la tradizione, di affermare l'ortodossia senza preoccuparsi dell'ortoprassi, di ingessare la liturgia senza preoccuparsi della comunicazione della fede, di tuonare le leggi e i precetti dal pulpito disprezzando il mondo e l'uomo che Cristo era venuto a salvare.

A 50 anni dal Concilio, Papa Francesco supera le due rotture, quella di destra e quella di sinistra, e riafferma il Concilio e la sua lettura come esegesi della continuità. E' per questo che nel suo agire egli è insieme tradizionale e moderno; rimane in silenzio e in preghiera davanti all'ostensorio, e in silenzio commosso e amorevole vicino alla schiera di malati che ogni mercoledì assiepa il corridoio delle udienze, adorando in entrambi il "corpo", la "carne di Cristo".

Questo superamento della rottura si vede nel suo vivere in modo riconciliato il sacerdozio proprio e quello dei fedeli (invece di squilibrare verso uno o l'altro dei corni); nella continua valorizzazione dei laici senza sminuire i pastori; vivendo da vescovo di Roma, valorizzando le conferenze episcopali, presiedendo alla carità universale: verso la Siria, l'Ucraina, il Centrafrica..., le altre Chiese e comunità cristiane mondiali, i membri delle altre religioni.

A tutti coloro che mettono in opposizione Benedetto XVI e Francesco (ancora una rottura, anche qui di destra e di sinistra) bisognerebbe far notare come le citazioni dell'EG peschino con libertà e precisione dal Concilio ad oggi, da Paolo VI, a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI, che - a suo stesso dire  - è suo consigliere e amico.

Chiesa e mondo

Forse il punto più acuto dell'ermeneutica della rottura è stato il rapporto Chiesa-mondo. Per alcuni la Chiesa doveva essere il lievito che doveva penetrare nella massa, o il sale che doveva dare sapore, ma hanno finito per dimenticarsi cosa si portava al mondo, diventando i fanalini di coda di politiche e ideologie spesso anti-Chiesa e sempre di più anti-umane.

Per altri, la Chiesa doveva essere una città posta sul monte che però non si sporcava con la polvere dei valligiani e dall'alto condannava e lanciava i suoi strali, rafforzando i bastioni per salvarsi, mentre il mondo e gli uomini rischiavano di perire.

Fin dall'inizio del suo pontificato Francesco ha parlato della "dolce e confortante gioia di evangelizzare" (prendendo l'espressione da Paolo VI) e della Chiesa "chiamata uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali".

In questo cammino in direzione del mondo - lo stesso del Figlio di Dio - la Chiesa porta la gioia dell'incontro con Gesù Cristo. Essa dunque non annega nel mondo, ma dona sé e la propria fede; e non si rinchiude nemmeno nella fortezza, o nel rimasuglio di gregge rimasto, condannando il mondo come irrecuperabile, ma porta la fecondità e la guarigione della presenza di Gesù Cristo fra gli uomini feriti. Già Giovanni Paolo II aveva detto (nella Redemptor Hominis, 13 e 14)  che "l'uomo è la principale via della Chiesa" ed anche che "Cristo è la via della Chiesa", mostrando che queste due strade sono in fondo una sola.

Ma proprio il mondo e frange della Chiesa rischiano di non comprendere la testimonianza di questo papa, tirandolo da destra e da sinistra, dal basso e dall'alto, senza farsi colpire dal suo messaggio vitale.

Vicino a coloro che gli chiedono di precisare il suo insegnamento, di parlare in difesa dei "valori" che la società mondiale vuole togliersi di dosso, vi sono quelli che lo vedono solo come un rappresentante dell'America latina, una rivincita della Chiesa dei poveri contro la Chiesa dei ricchi nordamericani ed europei; si studia il suo impegno o le sue cadute nei confronti dei generali argentini, in un tentativo di riproposizione del passato.

Ci sono coloro che lo tirano oltre, applaudendo alle sue "aperture" (vere o supposte) agli omosessuali, ai matrimoni gay, per la comunione ai divorziati, il cardinalato alle donne, in uno slancio verso il futuro.

Ma nessuna di queste letture si ferma a guardare il presente: un uomo trasparente nella sua fede e nella gioia del rapporto con Cristo, che per questo offre al mondo non una dottrina, o un'ideologia, ma l'incontro con il Cristo stesso.

Il papa che - in linea con la tradizione della dottrina sociale della Chiesa - ha detto che non può esistere un'economia senza etica, viene tacciato di essere marxista; allo stesso tempo, chi sembra applaudirlo come un rivoluzionario per ogni suo gesto inusuale, lo sta trasformando in un oggetto "cult" e di grande consumo, senza farsi toccare dal suo invito.

Queste letture zoppe del pontificato di Francesco cadono proprio sotto la scure del suo giudizio, quando mette in guardia la Chiesa (e il mondo) dalla "autoreferenzialità", dal narcisismo che approva se stesso e si dimentica del resto, e dalla "mondanità spirituale", dall'uso delle cose sacre per interessi personali. Spesso si applicano questi giudizi ai preti trafficoni di soldi, ma non li si applica a se stessi, difensori di ideologie tradizionaliste o progressiste, in cui si usa il papa per autogiustificarsi e per rimanere nell'immobilismo.

Se c'è un modo semplice per definire la rivoluzione di Francesco, questo è la parola "movimento": la sua è una Chiesa che si muove, che esce, che è disposta a percorrere una strada anche accidentata, a spogliarsi di tutto pur di rendere incontrabile per ogni uomo la verità e la dolcezza del Salvatore.

In fondo questa è la missione della Chiesa e di ogni cristiano: per questo noi missionari sentiamo questo papa così vicino al nostro stile e alle nostre preoccupazioni.

Ma anche nel mondo, in Italia e negli altri continenti, soprattutto in Asia - dove Francesco si recherà fra poco - la testimonianza di questo papa è percepita come quella di un amico che si fa vicino alla propria situazione tanto simile a "un ospedale da campo".

Immersi nella putrefazione delle ideologie (fondamentalismi, economicismi, nazionalismi, tutti coniugati con grandi egoismi), solo un amico portatore di una luce nuova, tanto attesa, può offrire una speranza vera.