Mar Cinese meridionale, Pechino accusa Hanoi: Fomentate la tensione, non cederemo
Per il capo dell’Esercito di liberazione popolare, in visita negli Usa, il Vietnam è responsabile dell’escalation delle violenze anti-cinesi. Monito a Washington, perché non prenda posizione nella controversia. La Cina continuerà le esplorazioni e “garantirà la sicurezza della piattaforma”. Per il premier vietnamita le proteste sono “legittime”.

Washington (AsiaNews/Agenzie) - La Cina continuerà le esplorazioni petrolifere nelle acque contese del mar Cinese meridionale, nonostante l'ondata di proteste che si è sollevata negli ultimi giorni in Vietnam e che ha assunto col passare delle ore una deriva violenta. A confermarlo è il generale Fang Fenghui, capo dell'Esercito di liberazione popolare, in questi giorni in visita ufficiale negli Stati Uniti. L'alto ufficiale ha dichiarato che Pechino non può "permettersi di perdere nemmeno un centimetro" di territorio; per questo metterà in campo tutte le misure necessarie a "garantire la sicurezza della piattaforma, perché le operazioni continuino". Egli punta inoltre il dito contro Hanoi, responsabile a suo dire dell'escalation di tensione nella regione Asia-Pacifico. 

Dietro le violenze, la decisione della Cina di piazzare il Primo maggio scorso una piattaforma per l'esplorazione petrolifera, la Haiyang Shiyou 981, seguita dall'invio di navi della marina, aerei da caccia ed elicotteri al largo della costa orientale vietnamita per pattugliare la zona. Una mossa che ha esacerbato il nazionalismo di una fetta consistente della popolazione vietnamita, che ha promosso proteste di piazza che hanno assunto una deriva violenta caratterizzata da roghi e assalti e che ha causato almeno 20 morti e un centinaio di feriti

Mentre in Vietnam monta un crescente nazionalismo e un malcontento diffuso verso Pechino e gli interessi cinesi nell'area, secondo il capo dell'Esercito di liberazione popolare è "evidente" chi "conduce normali attività" e chi tenta di "disturbarle". Il gen. Fang Fenghui lancia al contempo un monito a Washington, già stretto alleato di Manila nella regione, a "non schierarsi" nella diatriba che vede opposte Hanoi e Pechino. La recente visita di Barack Obama nel Sud-est asiatico, in cui ha rilanciato la presenza Usa nella regione, e le esercitazioni congiunte della marina statunitense e filippina sarebbero infatti elemento di provocazione e di tensione per la Cina. 

Intanto una delegazione ufficiale di Pechino ha iniziato in queste ore una visita ufficiale in Vietnam per colloqui col governo di Hanoi, nel tentativo di appianare le divisioni. In una nota ufficiale diramata alle forze dell'ordine il Primo Ministro vietnamita Nguyen Tan Dung ha definito le proteste contro "la piattaforma illegale" come "azioni legittime", ma ha anche aggiunto che quanti violano la legge saranno puniti e che gli interessi di aziende straniere vanno "protetti". 

Da tempo Vietnam e Filippine manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale; il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende isole contese - e  la sovranità delle Spratly e delle isole Paracel - da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori). A sostenere le rivendicazioni dei Paesi del Sud-est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che a più riprese hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue", usata da Pechino per marcare il territorio. L'egemonia riveste un carattere strategico per il commercio e lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area di elevato interesse per il passaggio dei due terzi dei commerci marittimi mondiali.