Tiananmen, "repressione continua" contro chi cerca di ricordare
Nonostante gli appelli e le critiche della comunità internazionale, Pechino alza il tiro e fa sparire dissidenti e attivisti per i diritti umani che vogliono commemorare le vittime del movimento democratico del 1989. Per la prima volta, il governo del Vietnam va contro la Cina. Le posizioni americane provocano una reazione diplomatica ufficiale. La storia di Miao Deshun, in carcere dal 4 giugno 1989.

Pechino (AsiaNews) - La psicosi del governo nei confronti dei fatti di piazza Tiananmen, di cui quest'anno cade il 25mo anniversario, continua a mietere vittime nel campo degli attivisti per i diritti umani. Nonostante la data del 4 giugno sia passata, gli arresti e le detenzioni criminali contro chi cerca di commemorare le vittime del massacro del 1989 sono saliti a 91. Secondo il Chrd (Chinese Human Rights Defender), fra questi vi sono arresti formali, "sparizioni temporanee", detenzioni illegali e "vacanze obbligate" lontani dalle città d'origine.

Gli unici due arresti formali sono quelli contro Jia Lingmin e Xu Guang: entrambi gli attivisti sono stati accusati di "voler disturbare la quiete pubblica" per ricordare gli eventi del 4 giugno. Vi sono poi 43 "detenzioni criminali" accertate: la formula indica una prerogativa della polizia nazionale, che può decidere l'arresto di un sospettato - fino a 3 anni - senza dover passare in tribunale per una convalida del giudice. Gli altri 46 casi riguardano invece figure della dissidenza cinese - fra cui Bao Tong e Hu Jia - che sono state "invitate dalla polizia" a "prendere un tè" oppure a "fare un viaggio" di qualche giorno.

La raffica di arresti non ha fermato però il ricordo internazionale delle vittime del massacro. Oltre alla consueta veglia di preghiera a lume di candela di Hong Kong, che quest'anno ha radunato circa 180mila persone, si sono uniti al lutto delle vittime anche i governi di Stati Uniti, Giappone, Taiwan e - per la prima volta - persino del Vietnam. I media di Hanoi hanno infatti criticato Pechino per la repressione operata 25 anni fa, in una mossa considerata "strategica" nell'ambito della battaglia territoriale in corso fra i due Paesi.

A Taipei era presente Wu'er Kaixi, considerato "il secondo uomo più ricercato dalla Cina" per i moti di Tiananmen, che ha parlato a una folla di centinaia di persone: "Dopo 25 anni non abbiamo ancora avuto successo. Abbiamo bisogno del sostegno di Taiwan, perché la battaglia sarà ancora più dura e solitaria". Il presidente dell'isola, Ma Ying-jeou, ha emesso un comunicato in cui chiede alla Cina "maggiore tolleranza" nei confronti dei dissidenti, mossa che "aiuterà a ottenere maggiore rispetto sia dal popolo di Taiwan che dalla comunità internazionale".

In un comunicato ufficiale, il Dalai Lama scrive: "Offro le mie preghiere per coloro che sono morti per la libertà, la democrazia e i diritti umani. Mentre si sono fatti grandi progressi per integrare la Cina nell'economia mondiale, ritengo sia importante allo stesso modo incoraggiare quel Paese a entrare nel novero della democrazia globale. In questo anniversario in cui ricordiamo i giovani martiri cinesi, preghiamo affinché gli attuali leader cinesi possano liberare il loro cuore da paura e atteggiamenti difensivi, raggiungano le vittime e le loro famiglie e si pentano del massacro dei giovani cinesi".

Anche gli Stati Uniti si sono uniti al sostegno espresso dal leader del buddismo tibetano. La Casa Bianca ha dichiarato di voler "onorare coloro che hanno dato la vita in quelle proteste. Parleremo sempre in sostegno dei diritti fondamentali che quei manifestanti cercavano" nella piazza Tiananmen. La risposta di Pechino non si è fatta attendere: il governo ha presentato una "protesta diplomatica formale" per il comunicato americano, che "mostra un'interpretazione del tutto sbagliata dei fatti. Si biasima il governo cinese senza ragione, intervenendo negli affari interni e violando le norme che sono alla base delle relazioni internazionali".

Ma i fatti di Tiananmen hanno una vittima che risale proprio al 4 giugno di quell'anno: Miao Deshun, 51 anni, è ritenuto l'ultima persona ancora in carcere per il coinvolgimento nelle proteste pro-democrazia del 1989. All'epoca Miao aveva 25 anni e lavorava come operaio in una fabbrica: viene arrestato il 4 giugno dopo che - secondo l'accusa - ha "lanciato un cesto contro un carro armato". Nel frattempo, l'Esercito di liberazione popolare sta attaccando i manifestanti e i passanti nel cuore di Pechino.

Accusato di "rogo", Miao viene condannato a morte nell'ottobre del 1989: l'esecuzione viene sospesa per due anni. Da allora cambia per due volte anche la sentenza, commutata prima in ergastolo e poi in 29 anni di carcere. Il suo rilascio è previsto per il settembre del 2018.

In prigione Miao viene torturato e subisce diversi maltrattamenti, perché rifiuta di ammettere la sua colpevolezza e rifiuta di compiere lavori manuali. Nel 2003 le autorità lo trasferiscono dalla prigione n° 2 di Pechino al braccio psichiatrico della prigione Yanqing: secondo i funzionari, Miao soffre di una malattia mentale. Durante la sua detenzione in quest'area, viene costretto ad assumere medicinali psichiatrici ed è costretto a letto per lunghi periodi di tempo. Al momento dovrebbe trovarsi ancora lì, ma non ci sono dettagli precisi sulla sua situazione attuale.