Musulmani manipolati sul tema della guerra santa (jihad)
di Bernardo Cervellera
Al convegno di Oasis presentate alcune importanti tesi sul significato del jihad, che da valore spirituale รจ stato via via strumentalizzato per fini politici, economici e nazionalisti fino ai giorni nostri. Sarajevo esempio di convivenza, dopo la guerra di Bosnia Erzegovina. E' urgente un'esegesi del Corano che salvi il nucleo religioso, purificandolo dagli aspetti legati all'esperienza storica di Maometto, che ha combattuto oltre 60 piccole guerre.

Sarajevo (AsiaNews) - Ci sono molti modi di intendere il "jihad", la guerra santa che sta insanguinando il Medio oriente (Siria e Iraq anzitutto) e molta parte dell'Africa del Nord e centrale. Quella di una guerra di offesa contro i nemici dell'islam (musulmani tiepidi e pagani - occidentali) è solo una delle interpretazioni, anche se è quella che fa più notizia. Il "conflitto delle interpretazioni" su questo termine mostra ancora di più l'urgenza che il Corano e le hadith (i detti del profeta) siano sottomessi a un'interpretazione che salvi il nucleo religioso della fede musulmana, rigettando quelle parti più legate alle esperienze storiche del profeta Maometto, in lotta contro i suoi nemici di Medina.

E' questa la sintesi della prima mattinata del convegno internazionale di Oasis, sul tema "La tentazione della violenza: religioni fra guerra e riconciliazione", che quest'anno si tiene a Sarajevo. Questa città, come ha detto il card. Vinko Puljic, "ha visto ben tre guerre", la Prima, la Seconda guerra mondiale, e quella del 1992-95, che ha avuto qua e là caratteri di "guerra religiosa" fra cristiani e musulmani, e di cui Sarajevo - con il suo tessuto interconfessionale - è divenuta la vittima emblematica.

Fra le relazioni più significative vi è quella della prof.ssa Asma Afsaruddin, docente di studi islamici all'università dell'Indiana (Usa). Nel suo accurato studio sul Corano, ella ha mostrato che secondo il libro sacro dei musulmani, il termine "jihad" ha avuto sempre un carattere "etico e morale", di resistenza "stoica, non violenta" di fronte al male. Anche nel periodo di Medina (il secondo periodo di Maometto, secondo gli studiosi del Corano), l'accenno al jihad  è fatto solo "per la protezione della loro vita e proprietà" contro i nemici e il "contrattacco  doveva essere proporzionale all'attacco originale".

Per la prof.ssa Afsaruddin è solo nel periodo abbasside (VIII- XIII secolo) che il tema del jihad diviene uno strumento politico che offre motivazioni religiose al desiderio di espansione del califfato. Ma anche allora, come in seguito, vi saranno sempre studiosi, pensatori e personalità religiose che rivendicheranno il carattere "interiore" e morale del jihad, condannando perfino il "martirio" come mezzo per distruggere i nemici dell'islam.

Un altro studioso, Mathieu Terrier, dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, ha mostrato l'evoluzione del jihad nel mondo sciita. La persecuzione subita da Alì e dai suoi seguaci, dopo la disfatta di Kerbala (in cui muore uno dei figli di Alì, Hussein), porta a una posizione di quietismo e a una lettura spirituale del jihad, trasferendolo in un orizzonte apocalittico, alla fine del mondo, quando il Mahdi (messia), insieme a Gesù (!), agli arcangeli e agli angeli porrà fine al male e ai nemici di Alì in modo giustiziero e definitivo.

Come è ovvio, fra tutti i presenti è emersa la domanda: come mai è avvenuta una manipolazione così profonda del termine jihad, fino a renderla simbolo dell'atteggiamento tout court dell'islam verso il mondo intero, una specie di guerra totale, vista con terrore da molti islamofobi e applaudita dalle frange estremiste musulmane?

Una prima risposta è venuta dall'esperienza di alcune personalità cristiane e musulmane di Sarajevo. Essi hanno messo in guardia dall'uso che si fa dell'islam "per fini politici, nazionalisti, economici". E proprio a Sarajevo, il mufti Reis-ul-ulema Husein è impegnato a frenare e correggere le interpretazioni wahabite (l'islam radicale dell'Arabia saudita), in nome di una convivenza fra musulmani, cristiani e agnostici che porta al benessere di tutti.

Una risposta dal punto di vista culturale viene dall'islamologo p. Samir Khalil Samir, presente al convegno, che ad AsiaNews spiega che "la politicizzazione del jihad è antichissima e non data solo dal tempo degli Abbassidi. Essa è presente nella stessa vita di Maometto. Una delle raccolte dei detti (hadith) del profeta si intitola proprio 'Il libro delle razzie', in cui si elencano oltre 60 guerre ad opera di Maometto".

"Se - continua - Maometto è 'il modello per eccellenza' del credente, allora è chiaro che da subito il jihad è divenuto come ' il sesto pilastro dell'islam'". "Quello che è necessario è un'esegesi del Corano, che salvi il nucleo religioso del libro e purifichi da aspetti troppo condizionati dal periodo storico in cui Maometto è vissuto, come le sue lotte al tempo di Medina".