Vescovo di Mannar: La visita di papa Francesco, una consolazione per le vittime della guerra
Ad AsiaNews mons. Rayappu Joseph, vescovo della diocesi di Mannar, parla delle attese per il viaggio apostolico in programma a gennaio 2015. La missione della Chiesa nel nord devastato dalla guerra civile, con la popolazione "abbandonata a se stessa" da governo e istituzioni. Le discriminazioni subite dalla minoranza tamil, e "l'unica possibile soluzione: uno Stato federale e davvero democratico".

Mannar (AsiaNews) - "Per la popolazione del nord dello Sri Lanka, colpita dalla guerra e che si sente abbandonata, la visita di papa Francesco sarà una grande consolazione". Lo afferma ad AsiaNews mons. Rayappu Joseph, vescovo della diocesi di Mannar (Northern Province), sede di una delle mete che il pontefice toccherà nel viaggio apostolico nell'isola previsto per la prima metà del gennaio 2015. Dopo Colombo, capitale dell'isola, il papa si recherà al santuario di Nostra Signora di Madhu, importante meta di pellegrinaggio per tutta l'Asia meridionale. Qui ogni anno più di 600mila persone si recano per pregare la Vergine. 

"Qui celebrerà una messa - sottolinea il presule ad AsiaNews - ma verrà anche per incontrare i sopravvissuti della guerra civile, per ascoltare le loro dolorose testimonianze e pregare con e per loro. Ci aspettiamo una grande affluenza, da tutte le diocesi del nord e da alcune del sud". La popolazione, aggiunge, "accoglie la sua visita come una benedizione da Dio, e ringraziamo il Signore per questo".

La diocesi di Mannar - che comprende i distretti di Mannar e Vavuniya - è parte della "cintura cattolica" che si estende da Negombo (Central Province) a Jaffna, come è chiamata l'area colonizzata dai portoghesi, con cui arrivarono anche i primi missionari cattolici. Eretta nel 1981, secondo gli ultimi dati disponibili (2004) conta una popolazione di oltre 219mila persone, il 33% delle quali di fede cattolica.

Dal 1983 al 2009 l'isola è stata teatro di una sanguinosa guerra civile tra governo e ribelli delle Tigri Tamil (Liberation Tigers of Tamil Eelam), un'organizzazione in lotta per creare uno Stato indipendente nel nord e nell'est del Paese, a maggioranza tamil.

"Durante questa guerra - spiega mons. Joseph ad AsiaNews - abbiamo subito perdite di ogni tipo: vite umane, case, proprietà. Alcuni nostri preti sono morti, le chiese e le strutture da noi avviate sono state distrutte. La popolazione è stata abbandonata a se stessa, con la sola nostra presenza ad aiutarla. Devo ringraziare la Caritas, che ha fatto un grande lavoro per aiutare le persone in quegli anni".

Eppure, prosegue il presule, "nonostante siano passati già cinque anni dalla fine del conflitto, non c'è stata riabilitazione per i sopravvissuti. Nessuno, né il governo né altri, si è occupato delle 89mila vedove di guerra, dei bambini rimasti orfani, dei mutilati, delle persone che hanno riportato traumi psicologici".

Tuttavia "il sostegno e la riabilitazione di un essere umano è un cammino lungo - sottolinea il vescovo - che deve essere integrale. Bisogna dare un'istruzione ai bambini: pagare loro gli studi, dare vestiti nuovi e medicine se stanno male. Noi ce ne stiamo occupando, con l'aiuto di amici e benefattori. Ma il governo non sta svolgendo alcuna opera di riabilitazione: pensa solo a costruire strade e ponti e non riesco a capire perché, invece, non prenda provvedimenti per le famiglie delle migliaia di persone che sono morte in guerra; per i mutilati; per chi soffre di problemi psicologici".

Dalla fine della guerra, il governo del presidente Mahinda Rajapaksa ha avviato una serie di progetti di sviluppo - soprattutto nell'ambito del turismo - per rendere lo Sri Lanka una "Meraviglia dell'Asia". "Attraverso tutte queste iniziative le autorità cercano di avere più soldi dai finanziatori esteri - nota ad AsiaNews mons. Joseph -. Io comprendo che il progresso debba esistere, ma la priorità di un governo dovrebbe essere la sua popolazione. Favorire lo sviluppo integrale delle persone, e non costruire lasciandole indietro".

Accanto a un sostegno di tipo sociale, aggiunge il vescovo, "come Chiesa non trascuriamo l'aspetto religioso. Cerchiamo di sostenerli e aiutarli a crescere nella fede, prendendoci cura degli aspetti sacramentali. Noi siamo lì, presenti, per accompagnare la popolazione durante tutta la ricostruzione e la riabilitazione delle loro vite".

Il problema del recupero dei sopravvissuti è legato a filo doppio con le condizioni in cui vivono i tamil, secondo gruppo etnico del Paese (11,2%) dopo i singalesi (74,88%). La guerra ha finito con il trasformarsi in un vero e proprio conflitto etnico tra le due comunità, e ancora oggi i tamil denunciano una disparità di trattamento e di subire continue violazioni da parte delle autorità.

Per mons. Joseph "i problemi attuali, che esistono da un centinaio di anni, hanno un'unica soluzione, che è quella proposta da sempre: trovare una comunione nelle reciproche diversità. Tamil e singalesi hanno culture, lingue e tradizioni differenti. Un modello da seguire potrebbe essere quello dell'India. Creare uno Stato federale, una cornice unitaria in cui attuare un decentramento del potere. Ma il governo non vuole: per farlo, dovrebbe cambiare la Costituzione, e anche il presidente dovrebbe cambiare. Una figura che troppe volte ha abusato del suo potere, soprattutto nei confronti delle minoranze". (GM)