Shock a Nagasaki, studentessa 15enne uccide e fa a pezzi la migliore amica
Il terribile caso di cronaca ricorda l'omicidio di una 12enne a opera di un'amichetta di appena 11 anni, avvenuto 10 anni fa nella stessa zona. Missionario del Pime in Giappone: "Casi estremi che sconvolgono, forse figli di emarginazione e alienazione sociale. Non bisogna perĂ² generalizzare, ma sforzarsi per aiutare questi ragazzi a maturare in modo sano".

Tokyo (AsiaNews) - L'omicidio di una 15enne giapponese ad opera di una sua coetanea nei pressi di Nagasaki "lascia allibiti, così come è strano che una ragazza di quell'età vivesse da sola quando i genitori vivono nella stessa città. Di certo questi casi fanno scalpore perché sono estremi nella loro violenza, ma non bisogna generalizzare la situazione dei giovani giapponesi o giudicarli tutti per l'operato di uno. Di certo ci sono delle difficoltà relazionali soprattutto nel mondo dei ragazzi, ma questo avviene in tutto il mondo. Bisogna aiutare i ragazzi a maturare in modo sano". È il commento rilasciato ad AsiaNews da p. Marco Villa, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere in Giappone, riguardo uno dei peggiori casi di cronaca della storia recente del Sol Levante.

Una studentessa di liceo della cittadina di Sasebo, nella prefettura meridionale di Nagasaki, è stata arrestata con l'accusa di aver ucciso una sua amica e di averla fatta a pezzi, arrivando al punto di decapitarla. Il corpo della vittima è stato ritrovato nell'appartamento della ragazza arrestata, che avrebbe dichiarato alla polizia di "aver fatto tutto da sola". L'omicidio ha sconvolto la comunità locale, che10 anni fa si è ritrovata nel centro dell'attenzione del Paese per l'omicidio di una 12enne compiuto da una sua amichetta di 11 anni.

"Casi del genere - dice p. Villa - lasciano allibiti e fanno scalpore perché sono estremi. Però la stragrande maggioranza dei giovani giapponesi non è così: ci sono dei ragazzi in difficoltà e con dei problemi, in Giappone come nel resto del mondo. Di certo si può dire che i ragazzi nipponici sono molto meno legati alla famiglia di quanto lo siano gli italiani. Quindi per loro è più facile staccarsi dal nucleo di origine: ma quando si cerca, forse un po' troppo presto, di ottenere indipendenza non sempre le cose vanno bene. Anche questi casi così tragici possono forse essere figli di disordini mentali nati dal distacco".

Va poi considerato il bullismo: "Qui in Giappone questo fenomeno rappresenta una tragedia ancora molto forte: è la causa principale dell'abbandono della scuola, e le nuove tecnologie e i cosiddetti social network peggiorano la situazione. Non avendo un contatto fisico, non potendo vedere in faccia chi ti prende in giro, è addirittura peggiore di quanto accadeva prima. Per un giovane, l'essere parte di un gruppo di amici è la via normale per socializzare: l'individuo, anche a livello sociale, ha senso se vive all'interno di una cerchia. Quindi quando viene marginalizzato gli vengono tagliate le gambe: non gli resta che chiudersi in casa e divenire uno di quelli che i giapponesi chiamano 'hikikomori', termine usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento".

A tutto questo va aggiunto infine un tratto tipico della società, ovvero la necessità di non dare fastidio: "Normalmente un giapponese, soprattutto un giovane, quando ha un problema non lo esterna. È la prima legge sociale. In un Paese così sovrappopolato non si dà fastidio a chi ti sta vicino: ma in questo modo non si parla dei problemi, neanche con le persone di casa, e tenendo dentro i disagi non si fa altro che ingigantirli. Fortunatamente non è così comune come sembra: ma è il modo in cui a volte i giapponesi reagiscono alle difficoltà del mondo. E questo può portare a delle tragedie".