Kamikaze contro partito curdo a Erbil: si temono 60 morti

Rappresentante curdo presso l'UE: "Messaggio al nuovo governo, gli estremisti vogliono destabilizzare una delle poche aree sicure dell'Iraq". Patriarca di Baghdad: "Non perdere la speranza, anche il papa ci è vicino".


Bruxelles (AsiaNews) – Nuovo attentato nel nord Iraq mentre continuano i colloqui per assegnare gli ultimi posti vacanti del nuovo governo iracheno. Un kamikaze si è fatto esplodere questa mattina all'esterno della sede del Partito democratico del Kurdistan (Pdk) ad Erbil, nel nord dell'Iraq. Secondo il governatore Nawzad Hadi, le vittime dell'attentato suicida sono 45 e 90 i feriti, ma fonti locali della sanità parlano di almeno 60 morti. Le vittime sarebbero prevalentemente reclute della polizia in quanto la sede del Pdk, una delle 2  principali formazioni curde, era utilizzata come centro per il reclutamento.

"È un messaggio al nuovo governo – commenta ad AsiaNews Jaf Burham, inviato del governo regionale del Kurdistan presso l'Unione Europea a Bruxelles – gli estremisti vogliono destabilizzare la zona sotto il controllo curdo, che era tra le più sicure". Burham, spiega che Erbil è un punto strategico e di facile mira per gli attentatori: "Qui diversi stati occidentali, come l'Inghilterra, volevano aprire un consolato, è una città sviluppata e poco lontana da Baghdad dove c'è un aeroporto internazionale. Per questo numerose compagnie europee di affari vi stanno spostando i loro interessi". "Nella zona - aggiunge - le forze dell'ordine hanno meno esperienza di kamikaze che in altre parti del paese e quindi è stato più facile aggirare i controlli".

Dolore per questo ennesimo episodio di violenza è stato espresso da Emmanuel Delly, patriarca caldeo di Baghdad, che ha invitato a non perdere la speranza. "Dobbiamo essere ottimisti, nonostante le ombre che ci circondano: il popolo iracheno riacquisterà la tranquillità di cui tutti sentiamo il bisogno". Mons. Delly, si è detto "fiducioso nel nuovo governo e certo delle preghiere di tutto il mondo e di Benedetto XVI per l'Iraq".

Le violenze vanno di pari passo con le discussioni ancora in corso fra i vertici politici iracheni sulla distribuzione delle cariche ministeriali. Ieri Ibrahim al Jaafari, sciita, ha prestato giuramento come primo ministro di un governo ancora non completo: 7 posti, tra cui 2 poltrone di vicepremier, restano in sospeso. Mancano in particolare i nomi dei titolari della Difesa (ministero promesso a un sunnita) e del Petrolio (promesso a uno sciita). L'interim della Difesa continuerà a essere garantito dal primo ministro stesso e quello del Petrolio dal laico sciita Ahmad Chalabi, designato inoltre come vice premier insieme con il curdo Roj Shawees. Gli altri dicasteri mancanti sono Elettricità, Industria e Diritti umani, assegnati ad interim. Per ora il governo è composto da 30 membri: 16 sciiti, 8 curdi, 5 sunniti, un cristiano. Le donne sono 6.

Secondo Burham "nel governo non c'è disaccordo politico". "Il problema - dice - è che ci sono più candidati per ogni posto e il premier ha bisogno di tempo per decidere". "Penso che nella prossima riunione del parlamento si raggiungerà un accordo".

Burham spiega poi che la partecipazione sunnita al governo è una questione difficile da gestire in quanto questi non costituiscono una forza unita e compatta, sono senza un partito e un leader definito: "È uno schieramento formato da diversi gruppi, per questo diventa delicato scegliere quale accontentare".

Il rappresentante curdo conclude raccontando che gli iracheni nutrono grandi aspettative nel governo al Jafaari. Per conquistarsi la fiducia della popolazione, però, il governo ora deve compiere passi precisi: "Prima di tutto  - afferma - aumentare la sicurezza; poi l'economia, combattendo la disoccupazione soprattutto giovanile e ripristinare i servizi di base come acqua e luce dove mancano". Burham ha concluso con l'auspicio di una "forte collaborazione tra i ministeri per  ricominciare a far funzionare l'Iraq". (MA)