Kerry vola in Turchia per chiedere sostegno contro lo Stato islamico
Il governo di Erdogan non ha firmato il comunicato di Jeddah, siglato dagli Usa e da 10 Paesi arabi, e ha negato l'uso delle basi aeree del sud del Paese per attacchi contro gli estremisti. Mosca e Damasco rispondono a Obama: "Attacchi aerei americani sulla Siria senza il permesso Onu saranno giudicati atti ostili contro il governo".

Ankara (AsiaNews) - Il Segretario di Stato americano John Kerry è arrivato in Turchia per cercare di ottenere sostegno militare da parte di Ankara contro i militanti dello Stato islamico (Is) in Iraq e Siria. Il governo guidato da Erdogan si è infatti rifiutato di firmare il "Comunicato di Jeddah", siglato ieri in Arabia Saudita dagli americani e dai rappresentanti di 10 Paesi arabi. Inoltre, al momento attuale rifiuta di concedere le basi aeree della zona meridionale per attacchi contro gli islamisti.

L'accordo è stato sottoscritto da Stati del Golfo, Egitto, Iraq, Giordania, Libano e Stati Uniti. La Turchia, presente al meeting e membro della Nato, ha dichiarato la propria contrarietà: alcune fonti ufficiali, anonime, spiegano che il governo "teme per la vita di 50 connazionali" al momento nelle mani dei terroristi dell'Is, fra cui i membri del consolato turco di Mosul.

Nel testo dell'accordo si legge che gli Stati firmatari "faranno ognuno la propria parte" per combattere gli estremisti. Fra le misure previste c'è il blocco degli stranieri in transito verso Siria e Iraq; una "manovra finanziaria" per bloccare i fondi destinati agli estremisti; il netto "rifiuto della loro ideologia dell'odio"; la ricostruzione e la riabilitazione delle comunità brutalizzate dai militanti islamici.

Lo scorso 10 settembre, il presidente americano Barack Obama ha chiarito che "è pronto ad autorizzare un piano per trovare e distruggere" lo Stato islamico, così come a dare "maggiori strumenti militari" alle forze impegnate nella lotta contro questo gruppo. E per la prima volta ha autorizzato in maniera esplicita e ufficiale l'uso di attacchi aerei contro i terroristi presenti in Siria.

Sull'argomento sono intervenuti sia i siriani che i russi. Ali Haidar, ministro siriano per la Riconciliazione nazionale, ha dichiarato: "Ogni azione di tipo militare o di qualunque altro tipo, effettuata senza il consenso del governo di Damasco, rappresenta un attacco alla Siria". Per Alexander Lukashevich, portavoce del ministero russo degli Esteri, "senza una decisione appropriata da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un passo del genere sarebbe un atto di aggressione e una flagrante violazione delle norme del diritto internazionale".

La situazione è destinata a rimanere tesa, dato che Washington riconosce l'esercito ribelle siriano che combatte contro il presidente Assad. Tuttavia, alcuni analisti definiscono la minacce di Damasco "esagerate". Riad Kahwaji, capo dell'Istituto per gli Affari militari del Golfo e del Vicino Oriente, spiega alla France Press che il governo di Assad "può fare rumore e lamentarsi, ma dal punto di vista militare non possono fare nulla" in caso di attacchi aerei americani. Anche perché il regime è quasi del tutto scomparso dalle province in mano allo Stato islamico, quelle di Raqa e di Deir Ezzor.