Cauto ottimismo nei colloqui sul nucleare iraniano, in una “fase critica”
La capitale austriaca ha ospitato l’ultimo round di incontri dei Paesi del “5 +1”. Teheran e Washington parlano di progressi, anche se resta “molto lavoro da fare" per una firma entro li 24 novembre. Per il capo della diplomazia iraniana i dialoghi sono orientati alla “ricerca di una soluzione”; per gli Stati Uniti basta “un 2%” di differenze sul dossier per far crollare tutto.

Vienna (AsiaNews/Agenzie) - Si respira un'atmosfera di cauto ottimismo attorno ai negoziati fra le potenze mondiali del "5 + 1" (i cinque membri del Consiglio di sicurezza, cioè Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, più la Germania) e l'Iran, ripresi in questi giorni a Vienna. Al termine dei colloqui nella capitale austriaca, Teheran e Washington parlano di alcuni "progressi", anche se resta ancora "molto" lavoro da fare per arrivare all'accordo entro la scadenza prevista del 24 novembre prossimo. Fonti interne ai colloqui sottolineano che le trattative sono giunte ad una "fase critica", anche se gli esperti nutrono dubbi sulle possibilità di una firma nei termini fissati. Un eventuale accordo avrebbe una portata storica per tutte le parti in causa: esso garantirebbe un programma nucleare iraniano di natura civile e pacifica, in cambio della rimozione di tutte le sanzioni occidentali che gravano da tempo su Teheran e la sua economia; inoltre, concluderebbe una crisi decennale nelle relazioni internazionali. 

Del resto i rapporti fra Iran e Occidente hanno dato confortanti segnali di ripresa dall'elezione alla presidenza, lo scorso anno, di Hassan Rouhani, il quale ha lavorato molto per mettere fine all'isolamento di Teheran. I colloqui dovrebbero dissipare i dubbi e le preoccupazioni sulle reali intenzioni del programma nucleare iraniano che, secondo alcuni (fra tutti Israele), nasconde progetti militari. Al momento vi sono ancora divergenze nelle posizioni, in particolare attorno agli scopi futuri del programma di arricchimento dell'uranio da parte iraniana. 

Funzionari dell'amministrazione statunitense affermano che vi è ancora tempo sufficiente per arrivare a una posizione comune, rispettando così la scadenza del 24 novembre; a Washington è tempo di elezioni di metà mandato e i vertici della Casa Bianca temono una modifica dei rapporti di forza al Senato, che comprometterebbe eventuali trattative future. Tuttavia, già la scorsa settimana il vice-ministro degli Esteri di Teheran Abbas Araqchi avanzava l'ipotesi di una proroga dei termini, mentre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ricordava che la deadline non ha un carattere "sacro". Alcuni analisti ritengono positivo il solo raggiungimento di un "compromesso" che giustifichi lo slittamento dei termini e la concessione di "altro tempo" alle parti.

I principali punti critici sono le date per la revoca piena delle sanzioni poste da Stati Uniti e Unione europea sul Paese e il grado in cui all'Iran sarebbe permesso di continuare l'arricchimento dell'uranio. I "5 +1" - con visioni e sfumature diverse - vogliono che Teheran riduca in modo sensibile le sua capacità di produzione di uranio, mantenendo solo poche centinaia di centrifughe attive, e che le sue attività siano pacifiche. In cambio, l'Iran vuole la rimozione delle sanzioni internazionali che soffocano la sua economia.

Fra i maggiori nemici di un possibile accordo vi è lo Stato di Israele e una parte del mondo politico Usa, insieme alle fronde più radicali del parlamento iraniano. Un compromesso "ad interim" raggiunto lo scorso anno prevede l'allentamento di alcune sanzioni in cambio di un freno all'attività nucleare, ma resta ancora da sciogliere il nodo relativo al livello di arricchimento dell'uranio. A conclusione degli incontri di ieri, il capo della diplomazia iraniana Mohammad Javad Zarif ha sottolineato che i dialoghi sono orientati verso "la ricerca di una soluzione, piuttosto che sull'esame minuzioso dei problemi". Di contro, funzionari statunitensi avvertono che "tutto potrebbe crollare sul 2% dei temi oggetto del dossier, anche in caso di accordo sul restante 98%".