Patriarca caldeo: Natale, fonte di speranza per i cristiani irakeni "sfollati come Gesù"
di Louis Raphael I Sako*
Nell'omelia Mar Sako ricorda le condizioni di "difficoltà e dolore" della comunità cristiana, ma ricorda anche che la festa è motivo di rinnovata speranza. Egli auspica un futuro di pace, armonia e convivenza. Ma per raggiungere l'obiettivo è necessario un sistema politico forte all'interno e un cambio della politica estera di Stati Uniti e Occidente.

Erbil (AsiaNews) - I cristiani irakeni hanno celebrato la nascita di Gesù "in condizioni di estrema difficoltà e dolore", lontani dalle case e dalle città, come sfollati; tuttavia, le festa è fonte di "nuova speranza", perché si possa "ricostruire ciò che è stato danneggiato, ristrutturare quello che è stato rovinato, riunire quanti sono stati divisi". È questo il messaggio che sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako ha rivolto ai fedeli durante l'omelia della messa di Natale, sottolineando la vicinanza della Chiesa a quanti hanno perso casa e terra in seguito all'avanzata delle milizie dello Stato islamico.

Un discorso che non dimentica il dolore e le sofferenze, ma guarda con fiducia a un futuro di pace, di fratellanza, di armonia e unità. Perché ciò avvenga, avverte però il patriarca caldeo, è necessario che anche gli Stati Uniti e l'Occidente riconsiderino la loro politica estera: "L'uso delle armi - avverte - non serve per dar vita a vere riforme, ma sono necessari un dialogo civile e coraggioso".

Ecco, di seguito, il messaggio di Mar Sako inviato ad AsiaNews:

Cari fratelli e sorelle,

oggi abbiamo celebrato la nascita di Gesù Cristo, in condizioni di estrema difficoltà e di dolore. Abbiamo festeggiato la ricorrenza in questa realtà di sfollati, lontani dalle nostre case e dalle nostre città, ma tutto questo non è la fine del mondo. La Sua nascita ridona in tutti noi nuova speranza, affinché possiamo riprendere possesso di ciò che abbiamo lasciato alle nostre spalle, perché possiamo ricostruire ciò che è stato danneggiato, ristrutturare quello che è stato rovinato, riunire quanti sono stati divisi e riportare a casa tutti gli sfollati. Del resto, lo stesso Gesù non è nato lontano dalla propria città di origine e lontano dalla propria casa? Egli stesso non è stato vittima di persecuzioni e ha dovuto fuggire in Egitto, per poi fare ritorno?

La nascita di Gesù Cristo indica la venuta del Signore, un vero incontro con Lui a distanza ravvicinata, una incarnazione del Suo amore per tutti nella vita, attraverso la quale egli ci incoraggia a viverne appieno il significato sia a livello personale, che collettivo. Si tratta di una seconda nascita dal paradiso celeste. Il Natale è l'inizio di un nuovo progetto, la missione del bambino, il salvatore, attraverso il quale la gloria di Dio e la pace sono rivelate all'umanità: "Gloria a Dio nell'alto dei cieli, e pace in terra". Questo bambino è il segno della gloria di Dio, e la pace è il suo riflesso celeste. Gloria e pace non sono solo un mero sogno, ma un obiettivo frutto di un progetto reale di lungo periodo, che noi cerchiamo di raggiungere prima di tutto nei nostri cuori e in un secondo momento attorno a noi. Grazie a questo, saremo in grado di far svanire le nubi nere della frammentazione, della divisione, dei conflitti, diffondendo al contrario lo scintillio della pace, dell'amore, della fratellanza, della libertà, della dignità, e della civiltà. Avendo fatto del messaggi di Natale l'obiettivo dei nostri pensieri, dell'educazione e di un programma di lavoro, potremo vivere in pace e in coesistenza armoniosa.

La nostra situazione è ancora oggi critica e tragica e i nostri fratelli sfollati cristiani, musulmani, yazidi a shabak non riescono a scorgere, all'orizzonte, una soluzione rapida al problema. Grazie alla Chiesa e alle persone di buona volontà, i cristiani possono vivere in piccole stanze o nelle tende; tuttavia, a livello psicologico sono sempre preoccupati per le loro città, per le loro case, il loro lavoro e temono per la loro vita e per il futuro dei loro figli. Costoro hanno bisogno di essere rassicurati che non sono soli né abbandonati, o dimenticati. Per questo, sono a chiedervi col cuore in mano di pregare per loro, affinché mantengano vivo il loro coraggio, la speranza e la fiducia in Dio, loro padre. Ho voluto celebrare la messa di Natale con loro, in una tenda del campo, per manifestare loro la vicinanza della Chiesa, che è sempre pronta e desiderosa di servirli e aiutarli.

Siamo profondamente grati per tutti gli sforzi e gli aiuti provenienti dall'intero e dall'esterno del Paese, per quanti hanno saputo allungare una mano verso gli sfollati in un periodo di grave crisi, dimostrando spirito di comprensione, di amicizia e di solidarietà.

Il cristianesimo deve restare in questa terra benedetta, quale messaggio di amore e tolleranza come Cristo ha comandato. Siamo determinato a proseguire nel nostro amore per tutti i cittadini, senza eccezioni e di vivere con loro in pace e sicurezza. Non vediamo l'ora di poter tornare nelle nostre case, nelle nostre città, sperando che possano essere presto liberate e protette. Questa è la nostra terra, la nostra storia, la nostra identità. Per noi, questa è la terra promessa.

Desideriamo anche dal profondo dei nostri cuori che si possa presto stabilire in Iraq un sistema politico e civile, che sia in grado di assicurare i diritti di tutti gli irakeni, preservare la loro dignità, portare loro giustizia, che è la base della pace. Questo nuovo sistema potrà essere raggiunto solo attraverso la crescente consapevolezza del serio pericolo rappresentato dai movimenti estremisti che uccidono, bruciano e devastano la civiltà in nome di Dio. Solo adottando programmi educativi adeguati, che insegnino a ciascuno di noi il significato dell'amore, della bontà, del rispetto per la diversità, e dei diritti umani si potrà rendere possibile tutto questo.

In questo contesto, gli Stati Uniti e l'Occidente devono riconsiderare la loro politica estera, in particolare quella riguardante il Medio oriente. I conflitti attuali non giovano a nessuno; l'uso delle armi non serve per dar vita a vere riforme, ma sono necessari un dialogo civile e coraggioso. In Medio oriente vi è estremo bisogno di una nuova visione e di un più realistico e onesto processo delle cose.

Amati fratelli,

con l'Annunciazione, l'Angelo del Signore dice a Maria di "non avere paura", e ribadisce lo stesso concetto a Giuseppe e ai pastori. Oggi, in mezzo alle sofferenze, Gesù ci dice: "Non aver paura, piccolo gregge". Questo è il momento giusto per rinnovare la fede in Dio, la fiducia nel prossimo, e la nostra cooperazione con la gente di buona volontà di tutto il mondo, con la convinzione che in fondo al dolore, vi è un raggio di nuova speranza. Questo è il nostro Natale, questa è la nostra fede. Buon Natale a tutti voi e lunga vita all'Iraq!

 

* Patriarca di Babilonia dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale irakena