La Quaresima dei 21 martiri copti egiziani decapitati in Libia
di Bernardo Cervellera
I boia dello Stato islamico, dicono di combattere per Dio, ma in realtà vivono di un delirio di onnipotenza perché loro si sentono Dio. I timidi 21 martiri che sussurrano il nome di Gesù hanno testimoniato fino alla fine che al centro della loro vita non c'è il loro benessere, ma Gesù stesso. Quest'anno, papa Francesco, nel suo Messaggio quaresimale ha chiesto di sconfiggere la "globalizzazione dell'indifferenza": “mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell'indifferenza”.

Roma (AsiaNews) - Quest'anno la Quaresima si riflette in un'icona speciale: quella dei 21 giovani copti egiziani decapitati dai miliziani dello Stato islamico sulle rive del Mediterraneo, nella zona di Tripoli. Il video-rito della loro esecuzione è stato diffuso qualche giorno prima del Mercoledì delle Ceneri, mentre in occidente si festeggiava il Carnevale. L'orrore, la sofferenza e lo sdegno per quelle immagini crudeli e raffinate, girate con mezzi sofisticati, trovano una pausa nell'inquadratura di uno dei giovani, Guergues Milâd Sanyût che, la testa tenuta ferma dal boia, sussurra le parole "Ya Rabbi Yasou" ("Gesù, mio Signore!"). Con lui, si vedono anche altri pronunciare sommesse parole di preghiere, lo sguardo amareggiato per quanto sta per accadere.

Alcuni analisti dicono che con ogni probabilità i boia dello Stato islamico hanno dato loro la possibilità di convertirsi all'islam per sfuggire la morte. E tutti loro sono rimasti attaccati alla fede in Gesù, che hanno invocato prima di morire.

Il patriarca copto ortodosso Tawadros li ha proclamati martiri e ha fissato al 15 febbraio la loro memoria liturgica. Anche papa Francesco ha celebrato messa per loro e ha sottolineato spesso il fatto che questi giovani copti sono stati "uccisi perché cristiani".

Questi martiri, così simili a Gesù nella morte, ci devono accompagnare per tutta la Quaresima e per la vita.

Quest'anno, papa Francesco, nel suo Messaggio quaresimale ha chiesto di sconfiggere la "globalizzazione dell'indifferenza".

"Quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi - egli dice -  certamente ci dimentichiamo degli altri... non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono... allora il nostro cuore cade nell'indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell'indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare".

Tutti noi, prima del martirio dei 21 giovani egiziani, pensando a questo messaggio abbiamo programmato azioni per i poveri, per gli emarginati, per le "periferie" (oggi tanto di moda grazie alle sottolineature del papa). Dopo l'esecuzione sulla spiaggia di Tripoli c'è stato chi voleva lanciare una guerra in Libia, chi si impegnava a un "intenso dialogo diplomatico", chi voleva cacciare i musulmani dalla propria terra. Tutte queste reazioni - comprensibili, certo, ma poco adeguate alla situazione - rischiano di sciogliersi come neve al sole e dopo qualche tempo fanno ritornare la nostra vita al tran-tran comodo ed egoista di sempre. Perché non toccano il cuore da cui proviene l'indifferenza. Il papa è molto chiaro: "Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: 'Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo' (1 Gv 4,19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade". E' impossibile vincere l'indifferenza se non scopriamo quanto Dio ci ha amati, se non vinciamo l'indifferenza verso Dio.

E' l'indifferenza verso Dio a renderci indifferenti - superficiali o reattivi - verso il prossimo, incapaci di vera e continua attenzione, perché eliminando Dio dall'orizzonte della vita, rimaniamo solo noi come centro del mondo e gestori della realtà, su cui riversiamo il nostro potere e la nostra violenza.

I boia dello Stato islamico, dicono di combattere per Dio, ma in realtà vivono di un delirio di onnipotenza perché loro si sentono Dio.  I timidi 21 martiri che sussurrano il nome di Gesù hanno testimoniato fino alla fine che al centro della loro vita non c'è il loro benessere, ma Gesù stesso: "la tua grazia vale più della vita", dice un salmo (Ps 62, 4). La loro testimonianza sta cambiando anche il modo in cui il mondo islamico vive la sua fede e la convivenza coi cristiani, come appare da alcuni segnali che provengono dall'imam di Al-Azhar e dal presidente al-Sisi in Egitto, che hanno partecipato al lutto dei cristiani.