Manila contro Pechino: Vuole controllare tutto il Mar cinese meridionale
Duro intervento del ministro filippino degli Esteri, che parla di "agenda espansionista della Cina" dominata da opere “massicce” di bonifica e recupero. Le “crescenti” attività di Pechino volte a pregiudicare il lavoro del tribunale internazionale Onu, interpellato da Manila per decidere sulla controversia. La Cina continua a rivendicare la sovranità dell’area.

Manila (AsiaNews/Agenzie) - Manila punta il dito contro Pechino, accusando il gigante asiatico di “cercare di assumere il controllo” di quasi tutto il Mar cinese meridionale, con un’agenda “espansionista” dominata da “opere massicce di bonifica e recupero” dei territori. La nuova, durissima presa di posizione è arrivata oggi per bocca del ministro filippino degli Esteri Albert del Rosario, secondo cui gli sforzi dei cinesi sono volti a pregiudicare il lavoro del tribunale delle Nazioni Unite. Agli inizi del prossimo anno i giudici dell’organismo internazionale Onu saranno chiamati a giudicare una vertenza, promossa proprio da Manila, sulle acque contese nella regione Asia-Pacifico.

Il ministro filippino afferma che la Cina “sta accelerando” l’agenda “espansionista” e “cambiando” lo status quo, nel tentativo di “assumere il controllo di quasi tutto il Mar cinese” prima che il tribunale Onu possa decidere in merito alla vertenza. 

Di contro, Pechino resta ferma sulla propria posizione rivendicando la sovranità sulla zona, ricchissima di petrolio, risorse naturali e materie prime. Per la Cina - che si basa su una vecchia e controversa mappa - rientrano sotto il proprio dominio anche le zone limitrofe alle coste delle Filippine e di altre nazioni del Sud-Est asiatico. 

Negli ultimi anni si è registrata una vera e propria escalation della tensione, con la Cina che ha contribuito in maniera sempre più energica e vigorosa a far sentire la propria presenza nei mari alle nazioni circostanti. Per il ministro filippino del Rosario queste “attività” sono andate in crescendo, fino a culminare nel gennaio scorso nell’attacco di un’imbarcazione cinese a pescherecci di Manila, nei pressi della costa filippina.  

Da tempo Vietnam e Filippine - che per prima ha promosso una vertenza internazionale al tribunale Onu, che non avrà peraltro valore vincolante - manifestano crescente preoccupazione per "l'imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale. Il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende la sovranità delle Spratly e delle isole Paracel, isole contese da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori). 

A sostenere le rivendicazioni dei Paesi del Sud-Est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che a più riprese hanno giudicato "illegale" e "irrazionale" la cosiddetta "lingua di bue", usata da Pechino per marcare il territorio, fino a comprenderne quasi l'80% dei 3,5 milioni di kmq.

L'egemonia riveste un carattere strategico per lo sfruttamento di petrolio e gas naturale nel fondo marino, in un'area dell'Asia-Pacifico di elevato interesse; in questo settore transitano infatti i dei due terzi dei commerci marittimi mondiali ed è fra i punti più caldi a livello geopolitico, possibile fattore di innesco di una nuova guerra planetaria.