Arabia Saudita, decapitata un'altra indonesiana. "Shock e dolore" a Jakarta
di Mathias Hariyadi
È il secondo caso in meno di una settimana. Karni binti Medi Tarsim era stata condannata a morte per aver ucciso il figlio di quattro anni della padrona. Anche in questo caso le autorità indonesiane avvertite a fatto compiuto. Attivisti e gruppi pro diritti umani si appellano al presidente Jokowi, per la tutela dei lavoratori migranti.

Jakarta (AsiaNews) - Nuova decapitazione in Arabia Saudita, per la seconda volta in meno di una settimana a scapito di una lavoratrice migrante di origini indonesiane; a pochi giorni dalla morte di Siti Zaenab, è la volta di Karni binti Medi Tarsim che è stata giustiziata ieri mattina in un carcere del regno. Anche in questo caso le autorità saudite hanno avvertito la controparte indonesiana a fatto compiuto. Attivisti pro-diritti umani e associazioni che lavorano con i migranti lanciano un appello al presidente Joko “Jokowi” Widodo, perché prenda provvedimenti immediati a tutela della salute e dei diritti dei lavoratori indonesiani all’esterno, in special modo quanti si trovano nel braccio della morte. 

La notizia della morte di Karni binti Medi Tarsim, originaria di Brebes, nello Java centrale, ha destato profondo shock e cordoglio in tutto il Paese. La società civile è in rivolta e chiede giustizia e diritti per i propri concittadini all’estero. Un compito del quale deve farsi carico il governo e, in prima persona, il presidente Jokowi. Anis Hidayah, direttore esecutivo del Centro per la cura dei migranti, parla di vicenda “dolorosa” che “ci ferisce, in quanto popolo indonesiano. Il governo saudita è davvero brutale, per aver giustiziato due lavoratori migranti uno dopo l’altro”. 

Karni binti Medi Tarsim è stata decapitata ieri mattina; nel 2013 un tribunale saudita l’aveva condannata a morte, perché avrebbe ucciso l’anno precedente il figlio della propria padrona, di soli quattro anni. 

Di contro, si era conclusa in modo diverso la storia della 40enne Satinah Binti Djumadi, anch’essa nel braccio della morte in Arabia Saudita con l'accusa di aver ucciso nel 2007 la propria datrice di lavoro - in risposta ai maltrattamenti subiti - e di aver rubato circa 10mila dollari. L’intervento in questo caso tempestivo dell’allora presidente Yudhoyono e il pagamento di una somma di denaro - una sorta di "tangente" chiamata Blood Money - avevano salvato la vita della donna. 

In Arabia Saudita vi sono almeno 1,2 milioni di indonesiani, il 70% dei quali impiegati come camerieri o domestiche. Fra questi, vi sono 36 persone condannate alla pena capitale e in attesa di esecuzione. Nel Paese è in vigore una versione stretta della sharia, che punisce con la condanna a morte diversi reati fra cui stupro, omicidio, apostasia, rapina a mano armata e traffico di droga.