Sacerdote iracheno: Il terrorismo vuole toglierci la vita, ma l'eucarestia ce la ridona
Intervento di p. Ragheed Ganni alla veglia in attesa della visita del papa a Bari.

Bari (AsiaNews) – L'eucarestia come sorgente di vita anche quando ogni giorno l'esperienza quotidiana è quella della morte. Succede a Mosul, nord Iraq, dove la popolazione vive nell'angoscia di rapimenti e autobomba, ma dove le chiese continuano a rimanere aperte e i cristiani ad andare numerosi a messa perché "senza l'eucarestia non si può vivere".

Per testimoniare anche fuori dall'Iraq la forza che arriva dall'eucarestia, p. Ragheed Ganni, caldeo di 33 anni, è partito da Mosul, e passando per Aleppo e Roma, è arrivato a Bari. Qui ha raccontato la sua esperienza durante la veglia che il 28 maggio ha preceduto la visita di Benedetto XVI a Bari. P. Ragheed, sacerdote caldeo, nel novembre 2003, dopo 7 anni di studi all'estero, ha deciso di tornare in Iraq. Nell'ultimo anno è stato testimone di diversi attentati contro cristiani nella diocesi di Mosul. Di seguito riportiamo l'intervento di p. Ragheed alla veglia di sabato scorso.

 

I cristiani di Mosul in Iraq non sono teologi; alcuni sono anche analfabeti. Eppure dentro di noi, da molte generazioni, è radicata una verità: senza domenica, senza l'eucarestia non possiamo vivere. Questo è vero anche oggi che la forza del male in Iraq è giunta a distruggere le chiese e i cristiani in un modo assolutamente imprevisto fino ad ora.

Il 26 giugno dell'anno scorso un gruppo di ragazze stava pulendo la chiesa preparandola per la domenica. Fra loro vi era mia sorella Raghad, che ha 19 anni. Mentre lei porta l'acqua per lavare il pavimento, due uomini in auto lanciano una granata, che esplode proprio a due passi da lei. Seppure profondamente ferita Raghad è sopravvissuta per miracolo. La domenica abbiamo celebrato lo stesso l'Eucarestia. Erano presenti anche i miei genitori, ancora scossi. Le ferite di mia sorella sono stati una forza per la mia comunità e per me, dandoci coraggio nel portare la nostra croce.

Lo scorso agosto, nella chiesa di san Paolo, subito dopo una messa alle sei di sera, è scoppiata un'autobomba. L'esplosione ha ucciso due cristiani e ferito molti altri. Vi è stato un piccolo miracolo: l'auto era piena di bombe, ma ne è scoppiata solo qualcuna. Se tutta l'auto fosse saltata, sarebbero morte centinaia di persone. A quell'ora vi erano almeno 400 fedeli. Tutti erano sbigottiti. I terroristi pensano di ucciderci fisicamente o almeno spiritualmente, facendoci annegare nella paura. Eppure le chiese alla domenica sono sempre piene. I terroristi cercano di toglierci la vita, ma l'Eucarestia ce la ridona.

La vigilia della festa dell'Immacolata, lo scorso 7 dicembre, un gruppo di terroristi ha cercato di distruggere anche l'arcivescovado caldeo, accanto al santuario di Nostra Signora del fiume Tigri, venerato da cristiani e musulmani. Hanno messo esplosivi ovunque e in pochi minuti lo hanno fatto saltare. A causa di questo e per molte violenze dei fondamentalisti contro i giovani cristiani, molte famiglie sono fuggite, ma le chiese sono rimaste aperte e la gente rimasta continua ad andare a messa, anche fra le rovine.

Proprio fra le difficoltà stiamo comprendendo il valore della domenica, giorno dell'incontro con Gesù il Risorto, giorno dell'unità e dell'amore fra di noi, del sostegno e dell'aiuto.

Qualche volta io stesso mi sento fragile e pieno di paura. Quando, con in mano l'eucarestia, dico le parole "Ecco l'Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo", sento in me la Sua forza: io tengo in mano l'ostia, ma in realtà  è Lui che tiene me e tutti noi, che sfida i terroristi e ci tiene uniti nel suo amore senza fine.

In tempi tranquilli, si dà tutto per scontato e si dimentica il grande dono che ci è fatto. L'ironia è proprio questa: attraverso la violenza del terrorismo, noi abbiamo scoperto in profondità che l'eucarestia, il Cristo morto e risorto, ci dà la vita. E questo ci permette di resistere e sperare.