Papa: Evangelizzare significa ospitare, il cristiano passa dall’egoismo all’amore
Francesco celebra la messa nel Campo grande di Nu Guazù, all’interno di una base area militare. Durante l’omelia, il pontefice sottolinea come Cristo “indica che il cammino del cristiano è trasformare il cuore. Imparare a vivere in un altro modo, con un’altra legge, sotto un’altra normativa”. L’ospitalità, chiave della testimonianza e della conversione.

Asunción (AsiaNews) – Nella logica del Vangelo “non si convince con le argomentazioni, le strategie, le tattiche, ma imparando ad ospitare. Quante volte immaginiamo strategie di evangelizzazione… La Chiesa è la madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa è la casa dell’ospitalità”. È il cuore dell’omelia pronunciata da papa Francesco durante la messa nel Campo grande di Ñu Guazú, all’interno di una base aerea militare. Nello stesso luogo - e un Santuario con una grande croce ricorda l’avvenimento - San Giovanni Paolo II canonizzò San Roque Gonzalez de Santa Cruz e Compagni durante il Viaggio Apostolico in Paraguay nel 1988.

Davanti a centinaia di migliaia di persone, fra cui un enorme gruppo di argentini, Francesco ha prima commentato le Letture di oggi e – partendo dal Salmo – invita i presenti a celebrare “quella misteriosa comunione tra Dio e il suo Popolo, tra Dio e noi. La pioggia è segno della sua presenza nella terra lavorata dalle nostre mani. Una comunione che dà sempre frutto, dà sempre vita. Questa fiducia scaturisce dalla fede, sapere che possiamo contare sulla sua grazia, che sempre trasformerà e irrigherà la nostra terra”.

Il discepolo, spiega il papa, “si sente invitato a fidarsi, si sente invitato da Gesù ad essergli amico, a condividere il suo destino, a condividere la sua vita. «Non vi chiamo più servi, vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). I discepoli sono coloro che imparano a vivere nella fiducia dell’amicizia. Il Vangelo ci parla di questo discepolato. Ci presenta la carta d’identità del cristiano. La sua lettera di presentazione, le sue credenziali”.

L’invio dei discepoli da parte di Gesù, che si fonda proprio su questa fiducia, viene presentato dal Maestro insieme ad alcune raccomandazioni: “Ricordiamole insieme: ‘on prendete per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, ne denaro… rimanete nella casa dove vi daranno alloggio’ (cfr Mc 6,8-11). Sembrerebbe qualcosa di impossibile. Potremmo concentrarci sulle parole «pane», «denaro», «borsa», «bastone», «sandali», «tunica». E sarebbe legittimo. Ma mi sembra che ci sia una parola-chiave, che potrebbe passare inosservata in confronto alle altre parole che ho citato. Una parola centrale nella spiritualità cristiana, nell’esperienza di discepolato: ospitalità. Gesù, come buon maestro, pedagogo, li invia a vivere l’ospitalità. Dice loro: “Rimanete dove vi accoglieranno”. Li manda ad imparare una delle caratteristiche fondamentali della comunità credente. Potremmo dire che il cristiano è colui che ha imparato ad ospitare, ad accogliere”.

Gesù insomma “non li invia come potenti, come proprietari, capi, carichi di leggi, norme; al contrario, indica loro che il cammino del cristiano è trasformare il cuore. Il suo e quello degli altri. Imparare a vivere in un altro modo, con un’altra legge, sotto un’altra normativa. E’ passare dalla logica dell’egoismo, della chiusura, dello scontro, della divisione, della superiorità, alla logica della vita, della gratuità, dell’amore. Dalla logica del dominio, dell’oppressione, della manipolazione, alla logica dell’accogliere, del ricevere, del prendersi cura. Sono due le logiche che sono in gioco, due modi di affrontare la vita, di affrontare la missione”.

“Quante volte – dice ancora il pontefice – pensiamo la missione sulla base di progetti o programmi. Quante volte immaginiamo l’evangelizzazione intorno a migliaia di strategie, tattiche, manovre, trucchi, cercando di convertire le persone con le nostre argomentazioni. Oggi il Signore ce lo dice molto chiaramente: nella logica del Vangelo non si convince con le argomentazioni, le strategie, le tattiche, ma semplicemente imparando ad ospitare. La Chiesa è la madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa, come la voleva Gesù, è la casa dell’ospitalità. Quanto bene possiamo fare se ci incoraggiamo ad imparare il linguaggio dell’ospitalità, dell’accoglienza! Quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto. Per questo occorre tenere le porte aperte, soprattutto le porte del cuore”.

L’ospitalità, con tutti e a tutti rivolta, è la risposta anche a uno dei mali peggiori della nostra specie: “C’è un male che precede i nostri peccati. C’è una radice che causa tanti ma tanti danni, che distrugge silenziosamente tante vite. C'è un male che, poco a poco, si fa un nido nel nostro cuore e “mangia” la nostra vitalità: la solitudine. Solitudine che può avere molte cause, molti motivi. Quanto distrugge la vita e quanto ci fa male! Ci separa dagli altri, da Dio, dalla comunità. Ci rinchiude in noi stessi. Perciò, quello che è proprio della Chiesa, di questa madre, non è principalmente gestire cose, progetti, ma imparare a vivere la fraternità con gli altri. È la fraternità accogliente la migliore testimonianza che Dio è Padre”.

In questo modo, sottolinea, “Gesù ci apre ad una nuova logica. Un orizzonte pieno di vita, di bellezza, di verità, di pienezza. Dio non chiude mai gli orizzonti, Dio non è mai passivo di fronte alla vita e alla sofferenza dei suoi figli. Dio non si lascia mai vincere in generosità. Per questo ci manda il suo Figlio, lo dona, lo consegna, lo condivide; affinché impariamo il cammino della fraternità, del dono. È definitivamente un nuovo orizzonte, è definitivamente una nuova Parola per tante situazioni di esclusione, di disgregazione, di chiusura, di isolamento. È una Parola che rompe il silenzio della solitudine”.

Una cosa è certa, conclude Francesco: “Non possiamo obbligare nessuno a riceverci, ad ospitarci; è certo ed è parte della nostra povertà e della nostra libertà. Ma è altrettanto certo che nessuno può obbligarci a non essere accoglienti, ospitali verso la vita del nostro popolo. Nessuno può chiederci di non accogliere e abbracciare la vita dei nostri fratelli, soprattutto di quelli che hanno perso la speranza e il gusto di vivere. Com’è bello immaginare le nostre parrocchie, comunità, cappelle, luoghi dove ci sono i cristiani, non con le porte chiuse ma come veri centri di incontro tra noi e Dio. Come luoghi di ospitalità e accoglienza”.