Card. Montenegro: Pedagogia e accoglienza per risolvere la crisi dei migranti
Il presidente di Caritas Italia ad AsiaNews: “In Italia ci sono ancora muri da abbattere, cadranno quando invece di servire a tavola il povero ci siederemo a mangiare con lui”. Al Sinodo “si discute anche delle famiglie costrette ad emigrare. E non è un problema solo del Terzo Mondo: nella mia terra, la Sicilia, si ricomincia a partire in cerca di migliori opportunità. E a pagare sono le famiglie, nucleo della società”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – "Quando saremo in grado di abbattere gli ultimi muri e sederci a tavola con il povero, guardandolo in faccia e riconoscendolo come fratello, avremo fatto l’ultimo passo necessario”. Lo dice ad AsiaNews il card. Francesco Montenegro, presidente di Caritas Italia e arcivescovo di Agrigento. Il presule partecipa in questi giorni ai lavori del Sinodo ordinario sulla famiglia in corso in Vaticano.  E aggiunge: "Quello che serve per risolvere la crisi dei migranti è un impegno pedagogico che trasformi la tolleranza in accoglienza".

Sullo “sforzo in più” richiesto da papa Francesco alla Chiesa italiana per l’accoglienza ai migranti, e sul ruolo da leone che ha la Caritas in questo impegno, il card. Montenegro ha le idee chiare: “Credo che il ruolo principale della Caritas sia quello pedagogico, che non bisogna mai dimenticare. La Caritas ha bisogno di aiutare la comunità alla cultura dell’accoglienza, perché non sempre questa cultura è vissuta ed è visibile. E proprio perché ha un valore pedagogico, ha bisogno dei fatti”.

Il fatto in questione è semplice: “Se vicino a me ho un fratello che soffre, che ha bisogno, allora devo mettere in campo l’amore. E questo amore non si misura da quello che do, ma da quello che mi tolgo. La Caritas invita le comunità cristiane a fare quel passo in più di generosità e di donazione, privandosi di qualcosa per fare posto all’altro”.

L’Italia ha una storia nobile di accoglienza, ma in tempi recenti si sono scatenate troppe polemiche sul tema: “Credo che i muri sull’immigrazione non siano ancora tutti caduti. Che l’Italia sia accogliente l’ha dimostrato in tante maniere, ma che questa accoglienza possa trasformarsi in disponibilità è ancora da vedere. Io ricordo le parole di mons. Bello, quando diceva: ‘La convivenza dei popoli non è soltanto servire a tavola il povero, ma è sedersi a tavola con lui’. Forse è questo il passo ancora da fare”

In pratica, sottolinea, “scoprire che l’altro è un fratello con cui posso stare. E non è detto che incontrare uno che non conosco debba per forza far nascere sentimenti di paura. Anche perché come l’altro può farmi paura, dobbiamo tenere a mente che anche io posso fare paura a lui. Allora credo che dobbiamo fare ancora questo cammino, dove un’accoglienza sia visibile. Tante volte noi più che di integrazione parliamo di tolleranza: io ti permetto di stare vicino a me e tu ringraziami che non ti mando via. Questa non è integrazione. L’integrazione nasce quando insieme ci guardiamo in faccia e scopriamo che possiamo fare insieme la strada che abbiamo davanti”.

 Ora il punto è come risolvere questa crisi che coinvolge milioni di persone: “Questa crisi era già prevista nel 1950. I tecnici dell’epoca già delineavano la possibilità di un esodo di massa per questi anni in corso. Noi stiamo cominciando a dividere i migranti fra coloro che scappano perché perseguitati per motivi religiosi o politici e coloro che fuggono per motivi economici. E stiamo iniziando a negare gli accessi ai rifugiati per motivi economici… Ma la fame non è già una guerra?”.

“Siamo davanti – aggiunge il card. Montenegro – a una situazione difficile nell’altro mondo. Questa gente ha diritto di vivere e io, sia in forza della Costituzione italiana che della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non posso chiudere le porte. Se vengono, devono essere accolti. Ma ho sempre detto che il male non è l’immigrazione: questa è il sintomo di un’ingiustizia su cui si regge il mondo”.

“Fino a quando continueremo a colonizzare quelle terre – spiega – chi le abita verrà a chiederci conto, con gli interessi, di quanto è stato fatto. Cosa che sta avvenendo: se non sistemiamo questo rapporto di ingiustizia trasformandolo in un rapporto di giustizia, non cambierà nulla. La soluzione migliore sarebbe vedere la realizzazione in loco di dinamiche che non spingano alla migrazione: i Paesi da cui partono i migranti si stanno privando dei giovani, che futuro avranno? E noi, con questa mentalità da primi della classe, che futuro avremo? O costruiamo il futuro sulla solidarietà, come ci invita a fare papa Francesco, o rischiamo di rimanere spettatori di una realtà che non potrà cambiare senza il nostro intervento”.

Il tema dei migranti coinvolge ovviamente anche il Sinodo in corso: “Ne abbiamo parlato, ci sono stati diversi interventi sul tema. È chiaro che questo fenomeno della migrazione sta spaccando le famiglie, ma voglio sottolineare che questo non è un dramma che riguarda solo le altre terre. Io vedo nella mia terra come molti stiano ricominciando a partire ad esempio per la Germania o altre nazioni: le famiglie si rompono. Parte il padre, la moglie deve badare ai figli e i soldi non bastano mai. Non possiamo non tenerne conto, anche perché il futuro è legato alla famiglia, perché il mondo è una grande famiglia e se non badiamo a quelle piccole, nucleo della società, avremo poca strada da fare”.