Ho Chi Minh City, attivisti cattolici fermati e picchiati dalla polizia
Tran Minh Nhat e Chu Manh Son erano viaggio dalla ex Saigon nei loro villaggi di origine, negli Altipiani centrali. Gli agenti li hanno bloccato e malmenati con brutalità. Dietro il raid presunte violazioni ai termini di scarcerazione. Durante l’interrogatorio hanno mantenuto il silenzio, pregando invece di rispondere alle accuse.

Ho Chi Minh city (AsiaNews) - La polizia vietnamita ha fermato e malmenato con brutalità due attivisti cattolici pro-diritti umani, nell’ultimo di una lunga serie di episodi di violenze contro personalità della dissidenza interna, che si batte per la libertà nel Paese comunista. I due attivisti sono stati fermati nella cittadina di Dinh Van, mentre viaggiavano da Ho Chi Minh City verso i loro villaggi di origine nella regione degli Altipiani centrali.

Interpellato da Radio Free Asia (Rfa) il leader cattolico Tran Minh Nhat, una delle due vittime dell’attacco, riferisce che l’8 novembre scorso oltre 10 poliziotti hanno fermato la sua auto, lo hanno fatto uscire, picchiato e condotto nella vicina caserma. Con lui hanno fermato e malmenato anche Chu Manh Son, che era a bordo della vettura di Nhat e tornava insieme a lui nel villaggio natale di Da Don, nel distretto di Lam Ha, provincia di Lam Dong. 

“Hanno presentato una denuncia - spiega Nhat a Rfa - in cui avrei violato i termini di detenzione cui sarei sottoposto”. In realtà, aggiunge, “non devo sottostare ad alcun provvedimento, perché il tribunale non ha imposto restrizioni e io non ho mai ammesso alcun crimine legato al tentativo di rovesciare il governo”. Egli ha anche spiegato di aver comunicato in modo tempestivo alle autorità i propri spostamenti e che era diretto nella ex Saigon per un controllo medico e per fare acquisti. 

Tran Minh Nhat, collaboratore della testata Vietnam Redemptorist News, era stato arrestato il 27 agosto 2011 e condannato a quattro anni di prigione e tre di libertà vigilata. In cella egli ha più volte denunciato le condizioni carcerarie, dando vita a scioperi della fame e altre forme di protesta. Egli si era visto negare alcune letture - Bibbia e vite di santi - e aveva subito abusi dalle guardie. Al momento del suo rilascio quattro attivisti vietnamiti, fra cui Chu Manh Son, sono stati picchiati in modo brutale dalla polizia e da squadristi in borghese per averne festeggiato la liberazione.

Nel suo ultimo interrogatorio, Nhat ha scelto la linea del silenzio e ha pregato invece di rispondere alle domande delle autorità. Gli agenti hanno tentato di farlo collaborare a forza, ma egli è rimasto con determinazione fedele alla propria posizione. Egli era accusato di seguire un sacerdote redentorista, che svolgerebbe attività “contro lo Stato”. 

Nel frattempo si era formato un gruppetto di esponenti del partito comunista locale e del Fronte nazionale giovanile del villaggio di origine dell’attivista cattolico, che hanno iniziato a esercitare pressioni perché scrivesse una confessione dei propri crimini. Egli ha di nuovo opposto un netto rifiuto. Alla fine lo hanno rilasciato senza alcun capo di imputazione. 

Con lui è stato fermato e picchiato anche Chu Manh Son, in prima fila nelle proteste contro l’imperialismo cinese nel mar Cinese meridionale. Dopo il rilascio, egli è tornato a Ho Chi Minh City. 

La loro vicenda - come quelle di Le Quoc Quan, Cu Huy Ha Vu e di decine di altri blogger e attivisti in prigione - testimonia il pugno di ferro usato ormai da tempo dai vertici comunisti contro il dissenso interno. Nel mirino delle autorità anche leader religiosi, fra cui buddisti e cattolici, o intere comunità come successo in passato nella diocesi di Vinh, dove media e governo hanno promosso una campagna diffamatoria e attacchi mirati contro vescovo e fedeli.

La repressione colpisce anche singoli individui, colpevoli di rivendicare il diritto alla libertà religiosa e al rispetto dei diritti civili dei cittadini. Secondo gruppi attivisti e movimenti internazionali al momento vi sono fra i 150 e i 200 blogger e attivisti rinchiusi nelle carceri vietnamite, con la sola colpa di aver voluto esercitare (e difendere) diritti umani fondamentali.