Kachin, crolla una miniera di giada: almeno 113 morti, ancora un centinaio di dispersi
Militari, polizia e squadre della sicurezza sono all’opera nel tentativo di trovare sopravvissuti. L’incidente si è verificato il 21 novembre alle 3 del mattino. Una frana ha investito gli alloggi di fortuna di un gruppo di minatori improvvisati. Essi vivono cercando frammenti del minerale fra gli scarti della lavorazione.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Militari, forze di polizia, squadre della sicurezza e molti volontari sono ancora all’opera nel tentativo di trovare sopravvissuti fra le macerie di una miniera di giada nello Stato Kachin, nel nord del Myanmar, teatro il 21 novembre scorso di un terribile incidente. Almeno 113 i cadaveri recuperati sinora dalla cava di Hpakant; tuttavia vi sarebbero ancora oggi circa un centinaio di dispersi e il numero delle vittime appare destinato ad aumentare con il trascorrere dei giorni.

Secondo alcune fonti un grosso cumulo di detriti, scarti del lavoro di estrazione nella cava, ha ceduto all’improvviso, travolgendo gli alloggi di fortuna di alcuni “minatori improvvisati” che vivono nella zona. 

Difatti, la maggior parte delle vittime è formata da persone povere e disagiate, che vivono accanto alla miniera e, per sopravvivere, cercano fra gli scarti della lavorazione alcuni frammenti di giada ancora buoni per essere commercializzati. Al momento non vi sono informazioni certe sulle ragioni che hanno causato l’incidente, fra i più gravi della storia del Paese. 

Fonti ufficiali della sicurezza riferiscono che il crollo si è verificato alle 3 del mattino del 21 novembre scorso, quando un enorme cumulo di detriti ha ceduto e si è diretto a valle. La frana avrebbe investito almeno 70 dimore temporanee e per gli occupanti non vi sono state possibilità di salvezza.

Lo Stato settentrionale Kachin è uno dei centri più importanti per l’estrazione della giada, sul cui commercio la giunta militare birmana - al potere sino al 2010 - ha costruito le proprie (enormi) ricchezze. Di recente attivisti ed esperti del settore hanno denunciato che le compagnie minerarie dedite all’estrazione di giada, legate a doppio filo ai vertici dell’esercito birmano, hanno perpetrato “il più grande furto in tema di risorse naturali nella storia moderna”. 

Secondo una ricerca elaborata da Global Witness, ong specializzata contro l’esproprio delle risorse naturali, il giro di affari reale sarebbe di almeno tre volte superiore ai 12,3 miliardi di dollari di giada venduta alla Cina, destinatario finale di quasi tutta la giada i in uscita dal Myanmar. Un mercato, quello dei preziosi, di enorme valore e che ha complicato il già difficile percorso di democratizzazione del Paese, per la mancanza di trasparenza e il coinvolgimento di personaggi chiave legati alla dittatura militare.

In particolare Hpakant (950 km a nord-est di Yangon), nello Stato Kachin, teatro di una sanguinosa guerra fra esercito e ribelli, è l’area in cui sorge il più importante centro al mondo per l’estrazione di giada; da tempo le autorità birmane hanno imposto forti restrizioni e vincoli all’accesso. Proibito l’ingresso agli stranieri. 

La condizione di sfruttamento dei lavoratori impiegati nelle miniere e le condizioni terribili nelle quali operano è uno dei molti problemi irrisolti che si troverà ad affrontare il nuovo governo, guidato dall’icona democratica birmana Aung San Suu Kyi, vincitrice del voto dell’8 novembre. Oltre alla condizione dei lavoratori, lo sfruttamento intensivo delle cave ha causato anche enormi problemi di inquinamento del territorio e gravi danni ambientali.