COP21, India e Cina unite: i Paesi sviluppati abbiano responsabilità maggiori
Oggi a Parigi viene presentata la prima bozza dell’accordo sul cambiamento climatico. I Paesi Basic (India, Cina, Sudafrica e Brasile) chiedono più oneri per i Paesi ricchi. Ministro Ambiente indiano: “Ogni nostra azione dipende da finanziamenti e tecnologie del mondo sviluppato. Chi ha dovrebbe dare a chi non ha”. Da due giorni è allarme rosso per lo smog a Pechino: chiuse le scuole e vietate le auto.

Parigi (AsiaNews/Agenzie) – I Paesi più ricchi devono sostenere il peso maggiore delle responsabilità in ogni accordo futuro sul clima, mentre le nazioni in via di sviluppo devono essere trattate con un metro diverso. È la posizione ribadita alla Conferenza globale dell’Onu sulle sfide del cambiamento climatico (COP21) di Parigi dai Paesi Basic (Brasile, Sudafrica, Cina e India), che fanno fronte unito nel giorno in cui il presidente della conferenza, Laurent Fabius, presenta la prima bozza sull’accordo.

I quattro Paesi Basic chiedono che il documento di Parigi non alteri quanto già deciso nel 1992 e confermato nel 2010 a Copenaghen: la differenziazione delle responsabilità tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo. Prakash Javadekar, ministro dell’Ambiente indiano, ha dichiarato: “Questo principio non deve essere in alcun modo diluito. Ogni azione dei Paesi in via di sviluppo dipende dai finanziamenti e dal sostegno tecnologico del mondo sviluppato. Quelli che hanno dovrebbero dare a coloro che non hanno. È semplice logica”. Già il premier indiano Modi, in visita a Parigi l’1 dicembre scorso, aveva sottolineato il fatto che l’India ha ancora bisogno di energia convenzionale (come il carbone) e che non può “permettersi il lusso” di non utilizzarla più.

Xie Zhenhua, rappresentante di Pechino, ha rincarato la dose rifiutando la proposta degli Stati Uniti di un sistema di controlli dei fondi dedicati al clima da applicare a tutti i Paesi. Inoltre, ha aggiunto Xie, le donazioni per l’ambiente dei Paesi in via di sviluppo devono essere versati solo su base volontaria.

Le dichiarazioni del “blocco Basic” rischiano però di ridurre al minimo le responsabilità dei Paesi più inquinanti. In questi giorni la capitale cinese è sotto una spessa coltre di smog, con particolaro di 317 µg/cm3. Per la prima volta nella storia, Pechino ha dichiarato “allarme rosso” per l’inquinamento. Le autorità hanno ridotto le attività industriali, vietato l’utilizzo delle automobili private, ordinato la chiusura delle scuole primarie e secondarie, proibito attività all’aperto per college e università. Un sondaggio del Pew Research Center svela che, nonostante la drammatica situazione di Pechino, solo il 18% dei cinesi considera importante il tema del cambiamento climatico discusso al COP21.

In compenso, in questi giorni a Delhi (India) il livello di particelle pericolose (Pm2.5) nell’aria ha toccato i 500 µg/cm3, ma lì non è scattato nemmeno l’allarme. Secondo l’Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) il limite delle Pm2.5 non dannoso per la salute è di 25 µg/cm3.