Conflitto siriano: a Riyadh il “fronte islamico” fissa le condizioni per i colloqui di pace
L’opposizione riunita nella capitale saudita, curdi esclusi, apre a un “regime pluralista” che rappresenti “tutti i settori”. Senza distinzioni etniche, settarie o confessionali. L’obiettivo è formare un governo di transizione entro sei mesi e portare il Paese alle urne in 18 mesi. Ma Assad non dovrà ricoprire alcun ruolo nel processo di transizione.

Riyadh (AsiaNews/Agenzie) - Un “regime pluralista che rappresenti tutti i settori” presenti oggi in Siria e la fine politica del presidente Bashar al-Assad, che non dovrà ricoprire alcun ruolo nel processo di transizione che traghetterà il Paese verso nuove elezioni. È questo l’esito della due giorni di incontri che si è tenuta il 9 e il 10 dicembre a Riyadh, in Arabia Saudita, e che ha visto riunito il cosiddetto “fronte islamico” dell’opposizione siriana. Assenti i curdi e altri gruppi che si contrappongono al blocco sostenuto dai sauditi, che non sono stati invitati all’incontro. Al momento non si hanno conferme ufficiali sulla presenza al vertice del gruppo estremista islamico Ahrar al-Sham vicino al Fronte di al-Nusra, cellula locale di al Qaeda. 

Secondo quanto riferiscono fonti della Reuters, i partecipanti al summit di Riyadh sostengono un “meccanismo democratico” attraverso il quale formare “un regime pluralista”, che rappresenti “tutti i settori del popolo siriano”. Esso includerebbe anche le donne e non farebbe distinzioni o discriminazioni di natura confessionale, settaria o etnica. I delegati assicurano inoltre la volontà di mantenere le istituzioni dello Stato e di ricostruire le forze di sicurezza.

Una posizione che, al momento, non si concilia con la posizione espressa a più riprese dal presidente Assad e ribadita nei giorni scorsi in un’intervista. Egli ha dichiarato che una sua eventuale partenza è “fuori discussione” fino a che non vi saranno nuove elezioni. E ha confermato una volta di più che non sarà possibile avviare colloqui di pace fino a che una parte del Paese sarà occupata dai “terroristi”, un termine usato da Assad per comprendere tutti i gruppi dell’opposizione armata. 

Fonti vicine ai partecipanti al vertice riferiscono che l’obiettivo delle opposizioni è formare un governo di transizione entro i prossimi sei mesi e traghettare il Paese alle elezioni, da tenersi entro 18 mesi. Al termine dell’incontro è stato creato un “comitato supremo per i negoziati” con base a Riyadh, che farà da portavoce del “fronte” nel contesto dei negoziati. Esso sarà formato da 30 esponenti, un terzo dei quali rappresentanti delle fazioni armate. 

In queste ultime settimane le potenze mondiali hanno accelerato gli sforzi diplomatici, per avviare negoziati concreti fra un fronte “unito” dell’opposizione siriana e rappresentanti del governo Assad; i colloqui dovrebbero partire il primo gennaio e intendono mettere fine a un conflitto durato quattro anni e mezzo, che ha causato oltre 250mila morti e almeno 11 milioni di rifugiati. 

Finora i gruppi di opposizione avevano mantenuto una posizione di intransigenza nei confronti del presidente siriano, escludendo la possibilità di ogni qualsiasi trattativa fino a che Assad sarebbe rimasto al potere. Oggi le posizioni sembrano ammorbidirsi, tanto che nella dichiarazione finale il “fronte islamico” è disponibile ad accettare la presenza del leader di Damasco “fino alla formazione di un governo di transizione” dal quale egli sarebbe escluso. 

Analisti ed esperti di politica mediorientale parlano di un “grande cambiamento” nel campo dell’opposizione; inoltre, l’incontro di Riyadh fornirebbe per l’immediato futuro un “contesto” e un “meccanismo” di ampio respiro per avviare negoziati fra regime e le varie fazioni anti-Assad. 

Ora gli occhi sono puntati al prossimo summit fra le potenze regionali e internazionali, in cui è prevista la partecipazione anche di Russia e Iran, in programma nella seconda metà del mese. Con questo incontro si dovrebbero gettare le basi per i negoziati del nuovo anno; tuttavia, gli esperti continuano a predicare prudenza e avvertono che il cammino verso la pace in Siria resta ancora irto di difficoltà e imprevisti.