Cina, il calvario delle donne operaie: se rimani incinta, sei licenziata
Il calvario delle lavoratrici sul delta del Fiume delle Perle: tutelate dalla legge, vengono estromesse con la forza dal mercato del lavoro senza contributi o possibilità di appigli giuridici. Appena comunicano la gravidanza iniziano i maltrattamenti, i trasferimenti forzati e i richiami. Passare dal giudice significa investire tempo e denaro che le operaie non hanno.

Guangzhou (AsiaNews/Clb) – Yu Jing è stata una delle fortunate: un tribunale d’appello di Pechino ha dichiarato lo scorso 5 novembre 2015 che è stata licenziata in maniera illegale per il fatto di essere incinta, e ha condannato al suo datore di lavoro a pagarle un risarcimento da 62.237 yuan. Yin era impiegata in un centro commerciale di Pechino dal 2009, ed era stata promossa fino al grado di manager a causa delle sue eccezionali prestazioni. Ma nel 2014, poco dopo aver detto al suo supervisore di aspettare un figlio, è stata trasferita a un altro centro commerciale, nei sobborghi, dall’altra parte della città. “Mi servivano tre ore per arrivare usando il trasporto pubblico – ha raccontato al Labour Midday News – e incinta sarebbe stato impossibile”. Quando ha rifiutato il trasferimento, è stata licenziata con l’accusa di “disubbidire alle direttive della compagnia”.

Yin si è rifiutata di chinare la testa e ha denunciato il suo datore di lavoro per licenziamento illegale. È stata fortunata perché aveva documenti e prove chiare ed evidenti – fra cui messaggi di testo – che provavano come il suo datore di lavoro fosse consapevole della sua maternità nel momento del trasferimento. Il tribunale ha ritenuto la prova incontrovertibile e la legge in materia è molto chiara. L’articolo 27 della Legge sulla protezione dei diritti e degli interessi delle donne recita: “Nessuna entità – in caso di matrimonio, gravidanza, pausa di maternità o allattamento al seno – può diminuire il salario di una impiegata, licenziarla o rescindere un contratto di beni o servizi”. E l’articolo 29 (3) della Legge sul lavoro stabilisce in maniera chiara che un datore di lavoro non può rescindere un contratto firmato con una donna “durante la gravidanza, i giorni del parto o mentre allatta”.

Nonostante questa ampia protezione legale, sono moltissime le donne che vengono licenziate quando sono incinte e che oggi – a differenza di Yin – devono ancora combattere per difendere i propri diritti, dato che non hanno prove chiare del rapporto fra licenziamento e gravidanza. Oppure perché non hanno il tempo e il denaro necessari per andare davanti a un giudice.

Le compagnie possono, con grande facilità, appellarsi contro queste denunce e prolungare il procedimento per mesi – persino anni – in attesa che la querelante si stanchi oppure accetti una mansione ridotta. Inoltre, come spiega l’attivista per i diritti dei lavoratori Zhu Xiaomei, moltissimi dirigenti d’azienda sono già molto esperti nell’arte di aggirare la legge e rendere la vita difficile alle lavoratrici incinte: “Le donne che lavorano affrontano, nel momento della gravidanza, tre problemi principali. Il primo è che spesso i dirigenti le spingono a licenziarsi attraverso trasferimenti inaccettabili o continui richiami relativi all’operato. Molte volte le donne se ne vanno semplicemente perché non ce la fanno più”.

Al secondo posto viene il salario: “Le donne incinte percepiscono soltanto il salario base, perché il boss non permette loro di fare straordinari. Ma chi lavora nelle industrie del Guangdong fa affidamento sugli straordinari e sui bonus produzione. Nessuno può sopravvivere sul delta del Fiume delle Perle con uno stipendio mensile di 1.500 yuan”.

Infine una questione di documenti: “Le donne che hanno un secondo o terzo figlio non possono ottenere i 98 giorni di maternità retribuiti perché non possono presentare il certificato dell’Ufficio pianificazione familiare che certifichi la nascita dell’ultimo figlio”.

Molte donne vorrebbero reagire alle tattiche intimidatorie dei propri datori di lavoro, ma non hanno il tempo e le risorse per farlo. Un'operaia di mezza età, Xu Yangqing, dice: “Hanno iniziato a trovare buchi in ogni cosa che facevo. Ad essere rudi e duri, in modo da spingermi ad andarmene senza dovermi dare la liquidazione. Mi hanno proposto una settimana retribuita, e quando ho spiegato loro che era impossibile completare la maternità in una settimana mi hanno risposto che non era affare loro”.

La donna aveva valutato la possibilità di andare da un giudice del lavoro, ma si tratta di questioni che durano mesi e, anche in caso di vittoria, il massimo sarebbe stato ottenere qualche settimana di salario. Alla fine, Xu ha deciso di accettare i tre mesi e mezzo retribuiti proposti dalla fabbrica come liquidazione e se ne è andata: “Cos’altro avrei potuto fare? La cosa migliore per le lavoratrici nelle condizioni simili alla mia è prendere quello che possono”.