Vicario dell’Arabia: Suor Sally, scampata al massacro di Aden, sta bene ma è sotto shock

Mons. Hinder ha incontrato la superiora delle Missionarie della Carità dello Yemen, ora al sicuro all’estero. È “provata”, ma in condizioni generali “accettabili”. Ora ha bisogno “di pace e tranquillità”. Ancora incerta la sorte del sacerdote. Aperti i canali, ma è necessaria cautela e prudenza. In Yemen situazione umanitaria “precaria”, condizioni difficili per milioni di persone. 


Sanaa (AsiaNews) - “Ho incontrato la suora scampata al massacro. Sta abbastanza bene anche se, come comprensibile, è in preda a un forte stato di shock. Certo è provata per quanto successo, ma sul piano fisico la situazione è accettabile”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), che in queste ore ha incontrato sister Sally. La religiosa indiana delle Missionarie della Carità di Aden, nel sud dello Yemen, è l’unica sopravvissuta al massacro del 4 marzo scorso alla casa per anziani gestita dalle religiose. Nell’assalto i jihadisti hanno giustiziato quattro consorelle e sequestrato un sacerdote; morti altri 12 dipendenti, civili e in maggioranza musulmani, della struttura.

Un commando estremista, con tutta probabilità legato allo Stato islamico (SI) anche se non vi sono rivendicazioni ufficiali, ha attaccato la casa di cura per anziani e disabili di Aden, nel sud del Paese, gestito dalle suore di Madre Teresa. Gli assalitori hanno giustiziato quattro religiose - suor Anselma dell’India, suor Marguerite e suor Reginette del Rwanda, suor Judit del Kenya (nella foto) - e altre 12 persone che lavoravano all’interno della struttura. Solo la superiora è riuscita a salvarsi dalla brutalità degli assalitori; nel raid i jihadisti hanno sequestrato il 56enne salesiano indiano p. Tom Uzhunnalil.

La suora scampata alla furia estremista, spiega mons. Hinder, “andrà in un luogo sicuro, all’estero, dove verrà raggiunta dalla superiora dell’ordine. Ora lei è al sicuro - aggiunge il prelato - ed è importante proteggerla non solo dai nemici e dal ricordo di questa terribile esperienza, ma anche dai media, dai curiosi, da quanti vorrebbero strapparle un commento, un racconto. Ora ha bisogno di riposo, un po’ di pace e di tranquillità”. 

Per quanto concerne la vicenda di p. Tom, la situazione è ancora di profonda incertezza. Sono al momento aperti canali e trattative per la liberazione, ma non vi sono notizie definite sulla sua sorte e anche le voci - fra cui la notizia di una sua uccisione circolata ieri - che si rincorrono e rimbalzano generano solo ulteriore confusione. “Sembra che sia ancora vivo - spiega mons. Hinder - ma non vi sono ulteriori elementi”.

L’obiettivo è non mettere in pericolo il lavoro avviato per la sua liberazione, per questo “è meglio restare abbottonati e non alimentare voci e notizie” che non hanno solide conferme. Sono aperti tutti i canali per intavolare trattative ma, avverte il prelato, “dobbiamo essere cauti e prudenti”.

Dal gennaio dello scorso anno la nazione del Golfo è teatro di un sanguinoso conflitto interno che vede opposte la leadership sunnita, sostenuta dall’Arabia Saudita, e i ribelli sciiti Houthi, vicini all’Iran. Nel mese di marzo, i sauditi a capo di una coalizione hanno lanciato raid aerei contro i ribelli nel tentativo di liberare la capitale Sana’a e riconsegnare il Paese al presidente (prima in esilio, poi rientrato) Abdu Rabu Mansour Hadi. Per l’Arabia Saudita gli Houthi, alleati alle forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, sono sostenute sul piano militare dall’Iran; accusa che Teheran respinge al mittente. Nel Paese sono attivi gruppi estremisti legati ad al Qaeda e jihadisti dello Stato islamico, che hanno contribuito ad aumentare la spirale di violenza e terrore.

In queste ore si è assistito a uno scambio di prigionieri fra ribelli Houthi ed esercito saudita. L’accordo è stato raggiunto nel corso di una visita di una delegazione delle forze ribelli nel regno saudita ed è la prima dall’inizio dei bombardamenti; l’obiettivo è quello di raggiungere una “tregua” ai confini, per favorire il passaggio di aiuti umanitari e medicine nelle aree teatro di guerra. 

“Da mesi non riesco ad entrare nel Paese - riferisce mons. Hinder - ma dalle informazioni che ho raccolto la situazione umanitaria resta precaria, con milioni di persone che sopravvivono in condizioni difficili, regna la confusione e i gruppi estremisti hanno facile presa in una realtà così caotica. Inoltre, le alleanze cambiano ogni giorno ed è difficile capire di chi ci si può fidare”. “So che molte persone in Yemen - conclude il prelato - sono deluse per la situazione e ancor più per quello che è successo alle suore. La gente era contenta della loro presenza; autorità e popolazione in questi giorni ha voluto condividere la nostra sofferenza per l’attacco. Non vi è una inimicizia generale, ma sono gruppi minoritari, radicali, che però dispongono di armi e forza”.