Mons. Menamparampil: Dialogo sempre possibile, anche con i maoisti dell'India

Una ricerca statunitense afferma che nel 2015 in India ci sono stati 791 attacchi. Il 43% è stato condotto dalla guerriglia naxalite, associata con i maoisti: si piazzano così al quarto posto nella classifica mondiale dei violenti. Gli altri maggiori gruppi terroristici sono lo Stato islamico (931 azioni), Boko Haram (491 stragi) e i talebani (1.093 attacchi). L’amministratore apostolico di Jowai spiega le motivazioni dei ribelli e il modo per superare le difficoltà.


New Delhi (AsiaNews) – Il Partito comunista indiano (Maoista), bandito dalle autorità di Delhi, è il quarto peggior gruppo terroristico al mondo, dopo Boko Haram, Stato islamico e talebani. Lo rivela uno studio condotto da ricercatori statunitensi, secondo cui nel 2015 ci sono stati 11.774 attacchi terroristici in tutto il mondo: l’India si posiziona al quarto posto tra i Paesi più colpiti dalle violenze, dopo Iraq, Afghanistan e Pakistan. Ad AsiaNews mons. Thomas Menamparampil, amministratore apostolico di Jowai (nel Meghalaya) ed ex arcivescovo di Guwahati (in Assam), sottolinea il “valore fondamentale del dialogo per riportare la pace”.

Lo studio è stato effettuato dal National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism del Dipartimento di Stato americano e riporta che lo scorso anno in India si sono verificati 791 attacchi. Il 43% di questi è stato compiuto dai guerriglieri naxalite (comunisti associati con i maoisti), che hanno provocato la morte di 289 civili. I maoisti sono coinvolti in altre 343 azioni terroristiche, nelle quali sono rimaste uccise 176 persone. Gli Stati più colpiti sono Chhattisgarh (21% del totale), Manipur (12%), Jammu e Kashmir (11%) e Jharkhand (10%).

Per quanto riguarda gli altri gruppi terroristici, la ricerca afferma che i talebani sono stati responsabili di 1.093 azioni, per un totale di 4.512 vittime; gli estremisti dello Stato islamico si sono macchiati di 931 attacchi, che hanno ucciso 6.050 persone; Boko Haram è coinvolto il 491 stragi, costate la vita a 5.450 persone.

Mons. Menamparampil opera nelle zone affette dalla guerriglia comunista e da anni è impegnato in maniera silenziosa nel riportare l’armonia tra le comunità. Ad AsiaNews ha spiegato il difficile e costante lavoro di chi opera per la pace, e in particolare dei membri della Chiesa locale.

Commentando il rapporto, il vescovo sottolinea una differenza importante tra i “cosiddetti maoisti” (insieme di più gruppi ribelli) e gli altri gruppi terroristici: “I maoisti dell’India centrale non agiscono in maniera ideologica, ma in termini di rivendicazioni etniche. La maggior parte di essi appartiene a comunità indigene, chiamate spesso tribali adivasi. Questi ritengono che le risorse naturali delle loro aree siano sfruttate da altri e che essi vengano emarginati dal nuovo sistema economico”.

L’amministratore apostolico di Jowai spiega: “Dal momento che i tribali non hanno influenza a livello politico, di frequente alcuni gruppi scelgono la via della violenza per esprimere la loro frustrazione. Per portare avanti la lotta, estorcono denaro agli stranieri e persino alle popolazioni locali”.

Mons. Menamparampil riporta inoltre che “le autorità che dimostrano capacità di comprendere le loro rivendicazioni e provano simpatia per la loro causa, hanno successo nel trovare forme di cooperazione”. “Il dialogo è sempre possibile – conclude –. Fino a quando i ribelli non vedranno soddisfatte le loro richieste con misure adeguate, questi movimenti non cesseranno mai del tutto. Ad ogni modo, la porta del dialogo deve rimanere sempre aperta”.