In Asia il petrolio frantuma la barriera dei 64 dollari

Gli esperti indicano come cause l'aumento della domanda e la paura di attentati, ma anche fenomeni speculativi. La corsa del petrolio penalizza le economie dei Paesi emergenti.


Singapore (AsiaNews/Agenzie) – Il petrolio sui mercati asiatici vola a oltre 64 dollari Usa al barile, spinto dalle preoccupazioni per la situazione in Medio Oriente e dalla crescente domanda degli Stati Uniti.

Oggi il greggio ha raggiunto dollari 64,08 al barile alla borsa di New York; ieri a New York aveva chiuso al prezzo record di dollari 63,94. Tra le cause c'è l'aumento della domanda degli Stati Uniti, per i maggiori consumi estivi (anche per i viaggi in automobile) e per il desiderio di aumentare le scorte. Si teme anche un attacco terrorista contro l'Arabia Saudita, maggior esportatore mondiale di greggio, con una produzione di circa 9,5 milioni di barili al giorno. Il Paese ha già subito sanguinosi attentati di Al Qaeda negli ultimi 2 anni: ieri gli Stati Uniti hanno chiuso ambasciata e consolati per 2 giorni, dopo che fonti britanniche hanno parlato di "rapporti attendibili" che i terroristi siano "alla fase finale" nell'organizzazione di un attentato. Viene ricordato che nell'ottobre 1979, dopo la rivoluzione in Iran, si arrivò a un prezzo equivalente a 80 dollari attuali al barile. C'è anche il timore di attacchi e sabotaggi contro le raffinerie americane.

Secondo alcuni analisti, tuttavia, le ragioni dell'aumento sono emotive e speculative piuttosto che strutturali. Osservano che sarebbe persino possibile aumentare la produzione (l'Arabia Saudita può incrementarla di 1,5 milioni di barili al giorno, mentre la produzione di stati come l'Iran non è sfruttata in pieno per ragioni politiche).

Gli aumenti creano difficoltà agli emergenti Stati asiatici. L'Asian Development Bank denuncia oggi in un rapporto, che il continuo aumento del prezzo del petrolio e il deteriorarsi dello scenario politico mediorientale rallentano la crescita economica nell'Estremo oriente. L'area comprende 10 Stati tra cui Cina, Corea del Sud, Indonesia, Filippine: per il 2005  era prevista una crescita del Prodotto interno lordo pari al 6,8% complessivo per questi Paesi (era stata del 7,6% nel 2004).

L'aumento del petrolio mette in pericolo la stabilità fiscale dell'Indonesia: Jusuf Anwar, ministro delle Finanze, ha dichiarato la settimana scorsa che il Governo spenderà nel 2005 almeno 112 trilioni di rupie (circa 2,58 miliardi di dollari Usa) per sussidi a favore del consumo privato, contro una previsione di 76,5 trilioni di rupie (circa 1,76 miliardi di dollari). "La causa di tutti i nostri problemi fiscali deriva dall'aumento del prezzo del petrolio", aggiungeva Jusuf commentandone la crescita, allora ad "appena" 62 dollari al barile.

Preoccupazione anche in Cina, secondo consumatore al mondo di petrolio, dopo gli Stati Uniti. Secondo fonti governative l'economia cinese è "vulnerabile" a un prezzo del petrolio superiore ai 60 dollari Usa al barile.

Ulteriori problemi potrebbero venire dalla decisione del governo di togliere il prezzo calmierato di petrolio e carburanti, in vigore dal 2000 appunto per evitare contraccolpi sull'economia cinese per le fluttuazione del costo del petrolio. Dong Xiucheng, professore dell'Università del Petrolio, prevede un'impennata dei prezzi quando sarà tolto il calmiere, ma lo ritiene necessario per provocare maggiore efficienza e risparmi nei consumi. (PB)