Ribelli siriani ed esercito turco strappano Dabiq allo Stato islamico

Truppe sul terreno e raid aerei di Ankara hanno favorito la conquista della cittadina al confine turco-siriano. L’enorme valore simbolico di Dabiq per i jihadisti. Secondo la tradizione sunnita è il luogo della battaglia finale fra bene e male. Continua il braccio di ferro fra Mosca e Occidente. Stati Uniti e Gran Bretagna minaccia nuove sanzioni economiche contro Mosca e Damasco. 

 


Damasco (AsiaNews/Agenzie) - Le milizie ribelli legate all’Esercito siriano libero (Fsa) e sostenute dall’esercito di Ankara hanno strappato ieri il controllo di Dabiq - cittadina strategica situata a nord di Aleppo, a poca distanza dal confine turco-siriano - ai jihadisti dello Stato islamico (SI). Secondo quanto riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, Ong con base a Londra e una fitta rete di informatori sul terreno, gruppi combattenti coadiuvati dai raid aerei turchi, “hanno catturato Dabiq, dopo che i membri dello SI si sono ritirati dalla zona”. 

Il direttore dell’Osservatorio Rami Abdel Rahman aggiunge che i miliziani si sono impossessati anche della vicina cittadina di Sawran.

Fonti del gruppo ribelle Fastaqim Union affermano che Dabiq è caduta “dopo una fiera battaglia con Daesh” [acronimo arabo per lo Stato islamico, ndr]. I gruppi combattenti hanno rilanciato sui social network le immagini dell’ingresso in città. L’agenzia di Stato turca Anadolu aggiunge che i ribelli stanno compiendo operazioni di sminamento e bonifica dei terreni, alla ricerca di mine e ordigni sepolti nel terreno o abbandonati dai jihadisti prima della fuga. 

Nella battaglia di ieri sarebbero morti almeno nove combattenti ribelli siriani, altri 28 sono rimasti feriti. 

Dabiq è un piccolo sobborgo nei pressi della frontiera con la Turchia, che prima della guerra contava circa 5mila abitanti. Esso riveste una importanza strategica limitata se paragonata a Raqqa, ma ha un altissimo valore simbolico perché qui - secondo una profezia dell’islam - si consumerà lo scontro finale fra islam e infedeli, con la vittoria dei musulmani. Una battaglia del “bene” contro il “male” nella visione sunnita e non, come hanno riportato anche alcune agenzie in queste ore, il luogo dello “scontro finale” fra “forze cristiane e musulmani”, con una interpretazione confessionale della storia. 

L’alto valore simbolico della cittadina è confermato anche dal fatto che “Dabiq” è anche il nome della rivista trimestrale ufficiale in lingua inglese del “Califfato”, pubblicata in rete - con una pregevole fattura e impaginazione - dal 2014 fino all’estate del 2016 e rivolta a un pubblico occidentale. 

A Dabiq, simbolo della propaganda jihadista, sorgeva anche il mausoleo del settimo califfo della dinastia omayyade Sulayman Ibn Abd Al-Malik (674-717); un monumento distrutto dai miliziani dello Stato islamico nell’estate del 2014, in nome della lotta iconoclasta contro i cosiddetti “simboli dell’idolatria”. 

Intanto continua il braccio di ferro fra Mosca (primo alleato del governo di Damasco) e il blocco occidentale, dopo il fallimento dei colloqui dello scorso fine settimana a Losanna (Svizzera). Stati Uniti e Regno Unito hanno minacciato nuove sanzioni economiche contro Russia e Siria nel caso in cui dovessero continuare i raid aerei contro Aleppo, epicentro del conflitto siriano. Il segretario di Stato americano John Kerry parla di “disastri umanitari” di enormi livelli e avverte il Cremlino che la guerra “non può finire senza un accordo politico”. Egli rilancia infine l’accusa di “crimini contro l’umanità” che sarebbero in atto nella metropoli del nord della Siria. 

Gli fa eco il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson, secondo cui è necessario raggiungere un cessate il fuoco “rilanciando il tavolo dei negoziati di Ginevra” e mantenendo alta la “pressione” diplomatica sulla Russia. 

Pronta la replica del presidente russo Vladimir Putin, il quale afferma che eventuali sanzioni contro Mosca sarebbero “controproducenti”; il Cremlino rinnova l’impegno comune alla pace, sebbene restino divisioni profonde sul terreno con l’occidente.