Leader cattolici: La Chiesa indiana alzi la voce contro le disuguaglianze
di Santosh Digal

Pubblicato il rapporto Oxfam. L’India si posiziona a livelli più bassi rispetto a Cina e Pakistan. Nel Paese l’1% della popolazione detiene il 58% della ricchezza. Non esiste un sistema di welfare state; manca l’assicurazione medica per i più poveri. Cancellati i debiti delle grandi aziende, ma nulla è stato fatto in tema di istruzione.


New Delhi (AsiaNews) – La Chiesa cattolica in India deve alzare la voce contro le disuguaglianze. Lo affermano ad AsiaNews alcuni leader cattolici, commentando l’ultimo rapporto internazionale sullo sviluppo che pone l’India al di sotto di Paesi come la Cina e il Pakistan. John Dayal, ex presidente della Catholic Union of India, riferisce che “le politiche governative stanno aggravando l’emarginazione delle comunità tribali. La Chiesa deve risvegliare la coscienza della nazione e dire la verità ai potenti. Non lo sta ancora facendo del tutto”.

Secondo il rapporto sulle disuguaglianze pubblicato ieri da Oxfam, movimento globale di Ong che si occupa di lotta contro la povertà e l’ingiustizia sociale, l’1% della popolazione indiana possiede il 58% della ricchezza di tutto il Paese. Questo fa dell’India una società ancora più divisa rispetto ai vicini asiatici.

L’attivista cattolico, membro del National Integration Council of India, riporta che “gli studi pongono il subcontinente indiano ai più bassi livelli di crescita inclusiva, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza della classe operaia”. Per quanto riguarda il sistema di welfare, continua, “l’India non ha meccanismi di sicurezza sociale o alcun tipo di assicurazione medica e sanitaria per i poveri. Ciò significa che circa due terzi della popolazione rischia di morire per malattia o per mancanza di cure, nonostante il Paese stia emergendo come uno dei più grandi centri per il turismo medico, per coloro che hanno i soldi”.

Il rapporto Oxfam evidenzia che 57 miliardari indiani hanno in mano la maggior parte della ricchezza, mentre il 70% della popolazione povera fatica a sopravvivere. Dal punto di vista generale, otto uomini nel mondo possiedono la stessa ricchezza del 50% degli abitanti del pianeta. Nei prossimi 20 anni 500 persone lasceranno in eredità ai propri discendenti l’equivalente di 2mila miliardi di dollari, più dell’attuale prodotto interno lordo indiano.

Valson Thampu, ex preside del St. Stephen’s College di Delhi, sostiene: “Pensare allo sviluppo in termini di Pil è fuorviante e disonesto. È una sofisticata falsità, perché non prende in considerazione lo sviluppo e la responsabilizzazione dei cittadini”. Per questo, suggerisce, “l’enfasi maggiore deve essere data all’educazione. Individui e società non possono svilupparsi in maniera significativa eccetto se non con l’istruzione”.

L’attivista Jugal Kishore Ranjit ritiene che la disuguaglianza “sia frutto del sistema braminico che si basa sulla divisione di casta e sul capitalismo. I bramini sostengono il capitalismo e viceversa. I proprietari guadagnano grazie al sangue versato dai lavoratori comuni. Le aziende producono denaro pubblico, ma poi i profitti sono utilizzati per alimentare se stesse”. Un’inversione di marcia positiva, aggiunge, potrebbe verificarsi solo se “individui e compagnie decidessero di redistribuire i profitti anche tra i poveri”.

P. Ajaya Kumar Singh, direttore dell’Odisha Forum for Social Action, afferma: “L’India si dichiara un Paese socialista e democratico, ma oggi il capitalismo clientelare regna sovrano. Le compagnie ricche dovrebbero assumersi adeguate responsabilità sociali”. “Quanto avvenuto di recente con la demonetizzazione [l’eliminazione delle banconote da 500 e 1000 rupie che ha gettato sul lastrico la classe media e rurale – ndr] – conclude – dimostra che l’India è un Paese per gli uomini d’affari. Circa 1400 miliardi di rupie [19,3 miliardi di euro] di debiti di grandi aziende sono stati cancellati con un colpo di spugna, ma niente è stato fatto per il sociale, il welfare e l’educazione”.