Il capo della Cia in Turchia per discutere di Stato islamico e conflitto siriano

A 48 ore dalla telefonata fra Trump ed Erdoğan, Mike Pompeo compie (a sorpresa) una visita ufficiale. Washington e Ankara cercano di rilanciare i rapporti dopo le tensioni degli ultimi anni. Ma resta il nodo dell’estradizione del predicatore islamico Gülen. Trump scrive a Xi Jinping e auspica relazioni “costruttive” fra Pechino e Washington.

 


Istanbul (AsiaNews/Agenzie) - Contrastare le milizie dello Stato islamico (SI) ancora attive in Siria e Iraq e trovare nuove vie per mettere fine al conflitto siriano, dando vita al contempo a zone sicure dove possono essere accolti i rifugiati in fuga dalla guerra. Sono questi i temi al centro della visita ufficiale del capo della Cia Mike Pompeo in Turchia, iniziata oggi. Una missione che intende anche far ripartire da zero i rapporti fra Washington e Ankara, carichi di tensione negli ultimi tre anni a causa delle frizioni fra l’amministrazione Obama e il leader turco Recep Tayyip Erdoğan.

La visita giunge a 48 ore di distanza dalla conversazione telefonica fra il neo presidente Usa Donald Trump e l’omologo turco. Durante il colloquio  Erdoğan ha chiesto a Trump di interrompere il sostegno statunitense alle milizie curde in Siria, che Ankara considera vicine al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato terrorista e fuorilegge nel Paese.

Analisti ed esperti sottolineano che il viaggio di Pompeo, programmato in tutta fretta, potrebbe significare un rinnovato sostegno degli Stati Uniti alla Turchia, un tempo alleato di ferro nell’area mediterranea e mediorientale. In particolare per quanto concerne gli sforzi messi in campo dalla leadership di Ankara nella lotta contro i gruppi terroristi, fra cui lo SI.

Durante i colloqui il capo della Cia e la delegazione turca discuteranno su come coordinare gli sforzi sul terreno; lo scenario di guerra si presenta ancora oggi assai frammentato, con Washington che sostiene i curdi impegnati nell’offensiva su Raqqa, roccaforte jihadista in Siria, e i turchi vicini alla coalizione araba che si muove verso la cittadina di al-Bab, a nord di Aleppo.

Al vaglio anche la proposta di creare zone sicure in cui ospitare rifugiati e sfollati interni in fuga dalle zone teatro di combattimento.

Altro elemento al centro dell’incontro la richiesta di estradizione del predicatore islamico  Fethullah Gülen, tuttora pendente, formulata da Ankara agli Stati Uniti. In esilio in Pennsylvania, secondo la leadership turca Gülen sarebbe la mente del (fallito) colpo di Stato in Turchia di metà luglio in cui sono morte 270 persone, migliaia i feriti. In risposta al fallito golpe, nei mesi scorsi le autorità turche hanno arrestato oltre 41mila persone, fra cui docenti, militari, intellettuali, oppositori politici, imprenditori, giornalisti, attivisti e semplici cittadini. Sospesi dal servizio o licenziati oltre 100mila funzionari del settore pubblico.

Intanto la diplomazia americana si muove anche sul fronte cinese, dopo le frizioni delle scorse settimane per le politiche protezioniste annunciate dal neo presidente, la telefonata con il presidente di Taiwan Tsai Ing-wen e la guerra verbale nel mar Cinese meridionale. In questi giorni Trump ha inviato una lettera all’omologo cinese Xi Jinping, nel primo approccio “diretto” al leader di Pechino.

Il presidente Usa ha ringraziato Xi per le congratulazioni inviate il mese scorso, in occasione del suo giuramento, e afferma di voler istaurare relazioni “costruttive” fra la Casa Bianca e  Cina. Finora non vi sono state conversazioni telefoniche dirette fra i due leader, come avvenuto invece con altri capi di Stato e di governo mondiali. Nella lettera, inviata in occasione del Capodanno cinese e apprezzata dalla leadership di Pechino, Trump afferma che la cooperazione tra i due Paesi è la sola opzione possibile. Un cambio di rotta, anche nei toni, rispetto ai proclami delle scorse settimane e alle parole al vetriolo e dalla retorica anti-cinese usati dal presidente Usa in campagna elettorale.