Onu: necessari 50 anni e miliardi di dollari per sminare i terreni di Siria e Iraq

Direttrice Unmas: “Decenni di lavoro” per ripulire le aree contaminate. In Iraq la spesa annuale di bonifica è di circa 180 milioni di dollari. Anche il primate caldeo favorevole alla messa in sicurezza dei terreni prima del ritorno dei profughi. Ogni anno le mine antiuomo uccidono oltre 6400 persone.


Baghdad (AsiaNews) - Per ripulire i terreni dalle mine antiuomo piazzate nel sottosuolo e dalle bombe inesplose, in Siria e Iraq, serviranno almeno 50 anni. È quanto affermano fonti delle Nazioni Unite, secondo cui nei nel sottosuolo dei due Paesi del Medio oriente teatro di guerre sanguinose si nascondo trappole mortali per i civili. Un dramma analogo a quanto avvenuto in Cambogia e Laos dove, ancora oggi a distanza di mezzo secolo dalla guerra in Indocina, le persone rischiano amputazioni o la morte per gli ordigni retaggio del conflitto.

In concomitanza con la XII Giornata internazionale Onu contro gli ordigni inesplosi, che si è celebrata lo scorso 4 aprile, Agnes Marcaillou ha sottolineato che serviranno “decenni di lavoro” per ripulire i terreni. La direttrice Unmas (United Nations Mine Action Service) parla di uno scenario simile a quello europeo “al termine della Seconda guerra mondiale”. E ancora oggi si trovano “qui e là ordigni inesplosi”.

Secondo le cifre fornite dall’esperta delle Nazioni Unite, ogni anno si dovranno spendere fra i 170 e i 180 milioni di dollari per “ripulire” le aree strappate allo Stato islamico in Iraq. Fra queste, la piana di Ninive (in cui sorgono diverse cittadine cristiane) e Mosul, seconda città per importanza del Paese e considerata a lungo la roccaforte e la capitale del sedicente “Califfato”.

Marcaillou ha precisato che la cifra i 50 milioni di dollari necessari ogni anno per liberarsi dalle armi che circolano a Mosul. Da mesi nell’area opera una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti a sostegno delle forze irakene, che hanno lanciato una offensiva per riconquistare la città da quasi tre anni nelle mani dello Stato islamico (SI). A gennaio le autorità hanno dichiarato la zona orientale “completamente libera”, mentre sono tuttora in corso gli scontri nel settore ovest.

La direttrice Unmas conferma che per il lavoro per la messa in sicurezza delle terre in Siria e Iraq sarà complesso, sofisticato e di “grande portata”. Tuttavia, l’esperta Onu mostra ottimismo aggiungendo che l’obiettivo potrà essere raggiunto in un futuro non troppo lontano. “Maggiori saranno i fondi - spiega - più numeroso sarà il personale che potremo impiegare” per le operazioni di bonifica dei terreni.

L’obiettivo è rendere autonomo il governo irakeno, affinché possa affrontare l’opera di sminamento come hanno fatto i governi di Londra, Parigi e Berlino al termine del conflitto mondiale. Per questo, conclude la Macaillou, saranno essenziali i finanziamento della comunità internazionale e permettere così il rientro degli sfollati nelle loro case e nelle loro terre.

Il tema delle mine disseminate nei terreni e delle bombe inesplose è al centro delle attenzioni anche della Chiesa irakena. Al riguardo il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako è intervenuto a più riprese chiedendo ripulire la piana di Ninive e restituire le sue terre ai profughi cristiani (e non). In una lettera-appello diffusa nel settembre scorso il primate caldeo ha sottolineato che prima di ricostruire case, chiese e ospedali è “essenziale compiere un’opera di sminamento”.

“Ancora oggi - ha aggiunto il prelato - a oltre due anni dalla presa di Mosul e di parte della piana di Ninive delle milizie dello SI […] risulta “difficile sapere in quale condizione verseranno i villaggi” dopo la liberazione. “Prima di tornare per restituire nuova vita alle nostre care e benamate città”, prosegue, sarà necessario “rimuovere un nemico subdolo, nascosto sotto la terra e alle volte anche negli stessi oggetti di uso quotidiano”. “Oggi - conclude mar Sako - dobbiamo affrontare in modo serio il dopo Daesh e pianificare il ritorno alla vita di questa piana fertile, e antica”.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite ogni anno le mine antiuomo uccidono oltre 6400 persone. Nel 2015 si calcola siano rimaste ferite o uccise 18 persone al giorno per un totale di 6460 vittime. Sebbene l’uso delle mine sia limitato, vengono utilizzate soprattutto in Myanmar, Libia, Siria e Iraq.