Condanna di un anno per la leader curda. Morti sospette nelle carceri turche

Il tribunale ha condannato Figen Yuksekdag, co-leader Hdp, per reati legati al terrorismo. Ora non potrà più essere eletta in un partito politico. Il pm chiede l’ergastolo per 30 fra giornalisti e dipendenti del gruppo editoriale Zaman, che pubblicava il principale quotidiano dell’opposizione. Almeno 28 persone decedute in cella, sospetto di tortura. 

 


Istanbul (AsiaNews/Agenzie) - Un tribunale turco ha condannato la co-leader del principale movimento di opposizione in Parlamento, il filo-curdo Partito democratico dei popoli (Hdp), a un anno di reclusione. Figen Yuksekdag (nella foto) è stata incriminata per reati legati al “terrorismo”. Fonti giudiziarie, dietro anonimato, riferiscono che la leader politica avrebbe “promosso attività di propaganda per una organizzazione terrorista”. 

Yuksekdag ha inoltre perso il suo seggio parlamentare, dopo che il tribunale aveva autorizzato il 22 settembre scorso il processo a suo carico.

Ora, secondo quanto prevede l’attuale Costituzione turca, in seguito alla sentenza di condanna la leader politica curda non può più essere eletta all’interno di un partito politico. 

Figen Yuksekdag è stata eletta come deputato nel novembre 2015 nel collegio elettorale della provincia orientale di Van. La leader curda è stata arrestata nel novembre dello scorso anno, assieme ad altri 13 parlamentari dell’Hdp con accuse legate al terrorismo. Dieci di loro, fra i quali il co-leader del movimento curdo Selahattin Demirtas sono ancora sottoposti a regime di custodia cautelare in carcere in attesa di processo. Essi non possono più godere dell’immunità parlamentare, che è stata cancellata con un voto nel marzo 2016. 

Dal luglio scorso, le autorità turche hanno arrestato oltre 45mila persone, fra cui docenti, militari, intellettuali, oppositori politici, imprenditori, giornalisti, attivisti e semplici cittadini. Sospesi dal servizio o licenziati più di 135mila mila funzionari del settore pubblico.

Nel mirino, oltre ai curdi, anche simpatizzanti (o presunti tali) del movimento che fa capo al predicatore islamico Fethullah Gülen, in esilio in Pennsylvania (Stati Uniti). Secondo il presidente Recep Tayyip Erdogan e i vertici di governo egli sarebbe la mente del colpo di Stato in Turchia in cui sono morte 270 persone, migliaia i feriti.

Analisti ed esperti sottolineano che l’escalation di arresti è legata al referendum sulla riforma Costituzionale, in programma il prossimo 16 aprile in Turchia. Una riforma voluta con forza dal presidente, che garantisce un ulteriore ampliamento dei poteri di Erdogan e la possibilità di restare in carica ben oltre il 2019, attuale scadenza naturale del mandato.

Alla vigilia della tornata referendaria il procuratore capo di Istanbul ha chiesto la condanna all’ergastolo per 30 fra giornalisti ed ex dipendenti del gruppo editoriale Zaman, accusati di “partecipazione ad organizzazione terroristica”. Fra le pubblicazioni del gruppo vi era anche il principale quotidiano legato all’opposizione, prima commissariato dalle autorità e poi chiuso. 

Nella requisitoria il pubblico ministero ha accusato il gruppo Zaman di aver usato il giornalismo “come un’arma” eccedendo “i limiti della libertà di opinione e di stampa”, minando la pace sociale e giustificando il golpe. 

Attivisti e organizzazioni internazionali pro diritti umani denunciano infine la morte di almeno 28 persone nelle carceri turche dall’inizio delle purghe nel luglio scorso. Fra questi vi sono ufficiali di polizia, magistrati, insegnanti che sono stati trovati privi di vita nelle loro celle. Queste morti gettano più di un’ombra sulla sorte di migliaia di civili, che versano in precarie condizioni all’interno delle carceri del Paese. I parenti delle vittime respingono l’ipotesi di decesso per suicidio, versione ufficiale diffusa dalle autorità per giustificare le morti. Secondo alcune indiscrezioni alcuni di questi decessi sarebbero avvenuti in seguito a tortura.