La Turchia divisa sul voto del referendum di domani
di Luca Galantini

Erdogan vuole divenire il nuovo “Cesare” e fare del suo Paese il gestore del Medio oriente. Enfasi nazionalistica e “terrore” organizzato col controllo dei media e della società. Dubbi all’interno dello stesso Akp. Le resistenze della minoranza curda e del partito kemalista.


Milano (AsiaNews) - Il 16 aprile il popolo turco viene chiamato alla urne per un voto su un referendum cruciale non solo per il futuro politico della Turchia ma più ancora per la stabilità dell’intera area mediorientale.

Con la riforma costituzionale elaborata in questi mesi, il presidente Recep Tayyep Erdogan mira a realizzare un sogno inseguito da anni nella sua strategia politica, cioè trasformare la Turchia in un’autocrazia a forte connotazione religiosa nazionalista, abbattendo definitivamente il modello laico democratico di impronta occidentale voluto da Kemal Ataturk all’indomani della Prima Guerra Mondiale.

Il desiderio imperioso di Erdogan di divenire il nuovo “Cesare” e di fare della Turchia il “global player” dell’area mediorientale però fino ad oggi si è scontrato con molteplici ostacoli, dalla ridefinizione delle alleanze con l’Occidente e la Nato, alle contorte relazioni con la Russia e l’Iran, al contradditorio rapporto con i movimenti fondamentalisti e terroristici religiosi islamici nell’affaire Siria. Per non dimenticare la perdurante e sempre sanguinante questione interna della minoranza curda e la sua aspirazione all’indipendenza nel quadro della riunificazione con le altre popolazioni curde situate in Irak ed Iran.

Tutti questi enormi problemi di politica estera ed interna pesano come macigni sul risultato della consultazione referendaria, su cui Erdogan si gioca una posta altissima: non a caso, forte della oramai quasi permamente legislazione sullo stato di emergenza, imposta all’indomani del fallito colpo di Stato di luglio, il governo autoritario del Presidente turco ha in mano il quasi totale controllo degli organi di informazione, avendo eliminato dai mass-media la voce della pur forte minoranza dissenziente.

In realtà autorevoli voci di analisti e studiosi interni al Paese denunziano un clima di intimidazione e paura nella società civile che sottende una grande incertezza sulla vittoria di Erdogan. Sia la maggioranza al governo che l’opposizione debbono fare i conti con una situazione interna molto frastagliata e disomogenea, in cui le diverse alleanze politiche sono spesso in disaccordo tra loro.

A livello parlamentare il partito del Presidente turco, l’AKP, non ha la maggioranza dei voti in Parlamento, e si deve appoggiare ad una coalizione che, sulla questione delle riforma costituzionale, si è spaccata.Il partito nazionalista MHP, che sostiene il governo di Erdogan, si è diviso sul voto a favore della riforma, e ciò è preoccupante in quanto il leader turco per realizzare il suo sogno in questi anni ha dato sempre più vigore alle aspirazioni nazionalistiche di questo movimento coltivando in particolare una forte repressione della minoranza curda.

A maggior ragione il “fattore curdo” sarà altrettanto determinante per impedire al presidente turco di raggiungere il quorum: si consideri che i curdi sono quasi il 20% della popolazione turca, ed i dati forniti dall’Unhcr, l’Alto Commissariato Onu per i diritti umani, denunziano tra il 2016 ed il 2017 una recrudescenza delle persecuzioni nei confronti dei curdi, contando in circa 1500 le vittime accertate della repressione governativa contro gli aderenti al PKK, il partito dei lavoratori curdo ed i membri della minoranza.

La minoranza curda è da anni esasperata dalla emarginazione, se non discriminazione che subisce da parte del governo centrale di Ankara, a livello economico, politico, culturale, e le province del sudest della Turchia sono in fermento contro il Presidente Erdogan. La criminalizzazione della minoranza si è acuita in particolare dopo il fallito colpo di Stato, portando all’incarcerazione senza alcuna garanzia giudiziaria di migliaia di simpatizzanti anche del partito moderato filocurdo HDP, di vocazione democratica e pluralista e ben lontano dalle strategie indipendentiste del PKK: dati forniti dall’International Crisis Group quantificano in almeno 8000 gli arresti di membri dell’HDP operati dalla forze di polizia dallo scorso anno.

Il tradizionale partito repubblicano del popolo, CHP, di ispirazione kemalista - che per anni ha incarnato la fedele linea di tradizionale ortodossia laica democratica nel solco dell’insegnamento di Kemal Ataturk -  conferma la sua netta opposizione alla riforma costituzionale voluta da Erdogan, ma al contempo, dopo il fallito colpo di Stato ed il richiamo imperioso del presidente turco alla difesa della sicurezza della patria, si trova in difficoltà a giustificare al proprio elettorato l’opposizione al processo autoritario di Erdogan e ad una collaborazione con l’HDP.

Le opposizioni politiche al progetto di Erdogan sono dunque parcellizzate, ma è l’intera società civile turca a soffrire il forte disorientamento e la paura generata dopo il fallito colpo di stato di luglio: il varo della legislazione di emergenza – se inizialmente poteva vantare una legittima giustificazione normativa – ha portato progressivamente ad una deriva autoritaria che ha realizzato l’obiettivo di smantellare la rete politica culturale del movimento di Fetullah Guelen, nemico acerrimo di Erdogan, ma al contempo ha brutalmente terrorizzato vasti strati della classe media, della pubblica amministrazione, delle forze armate, del mondo accademico universitario e degli insegnanti, delle Ong e dei liberi professionisti come gli avvocati. Il tutto è avvenuto attraverso i processi sommari di epurazione, licenziamento, restrizioni sui diritti civili e politici, controllo capillare dei mezzi di informazione e dei social: il timore esplicito di subire persecuzioni induce parecchi docenti ad astenersi dall’utilizzo di facebook piuttosto che di altri social internazionali.

La morsa della cultura del sospetto ed il ferreo controllo imposto sulle libertà fondamentali della società civile da parte di Erdogan sono fattori che molto probabilmente avranno effetto decisivo nel manifestazione di voto sul referendum, al pari delle questioni di politica estera su cui Erdogan pare disposto a giocarsi il suo prestigio come leader di statura internazionale: il tentativo del Presidente  di ergersi a difensore della patria e della sicurezza nazionale dovrà fare i conti con la forte aspirazione della società turca a recuperare un clima di serena convivenza quotidiana nel segno della pace e delle libertà civili fondamentali dopo un anno di terrore “istituzionalizzato”.