Demolizione della moschea di Babri: Corte suprema incrimina tre leader del Bjp

Lal Krishna Advani, Murali Manohar Joshi e Uma Bharti andranno a processo entro quattro settimane. La sentenza sarà emessa al massimo entro due anni. L’ex chef minister dell’Uttar Pradesh scampa al procedimento giudiziario grazie all’immunità da governatore. Ram Puniyani: “Speranze di giustizia dopo 25 anni”.


New Delhi (AsiaNews) – La Corte suprema dell’India ha deciso che tre leader di spicco del partito nazionalista indù Bjp (Bharatiya Janata Party) andranno a processo per cospirazione nel caso della demolizione della moschea di Babri ad Ayodhya (in Uttar Pradesh). Secondo i giudici, il 6 dicembre 1992 Lal Krishna Advani (ex vice premier), Murali Manohar Joshi e Uma Bharti (attuale ministro dell’Unione) incitarono una folla di 150mila radicali indù a distruggere la Babri Masjid, perché la moschea sorgeva sui resti di un tempio dedicato al dio Ram. Ad AsiaNews Ram Puniyani, presidente del Centre for Study and Secularism di Mumbai, afferma: “Per 25 anni non è stata fatta giustizia. Dopo molto ritardo, ora c’è qualche speranza”.

Secondo Puniyani, finora la questione “non è mai stata affrontata in maniera seria”. Inoltre la decisione del Tribunale supremo “decreta una situazione che era evidente fin dall’inizio: la cospirazione degli esponenti indù, armati di mezzi pesanti e corde”. Ciò emerge dal fatto che “i volontari erano stati formati prima della demolizione. E solo a coloro che erano stati formati venne dato il permesso di avvicinarsi alla moschea, mentre dal palco i leader continuavano a pronunciare slogan provocatori che incitavano alla distruzione della struttura”.

I giudici del Tribunale supremo P C Ghose e R F Nariman hanno stabilito il trasferimento del processo da Rae Bareli a Lucknow. Ciò implica che i due casi – cospirazione a carico di leader del Sangh e demolizione della moschea ad opera dei cosiddetti “karsevaks” (volontari) – verranno svolti in maniera simultanea. La decisione porterà ad un’accelerazione del procedimento giudiziario, dato che la Corte ha ordinato l’inizio del dibattimento entro quattro settimane. I tre imputati, insieme ad altri esponenti indù e ai testimoni, dovranno presentarsi tutti i giorni nell’aula del tribunale e la sentenza verrà emessa al massimo tra due anni. L’unico ad aver scampato il procedimento, per ora, è Kalyan Singh, all’epoca dei fatti chief minister dell’Uttar Pradesh e attuale governatore del Rajasthan, che gode dell’immunità.

La vicenda della Babri Masjid è emblematica della politica estremista dei nazionalisti indù. Costruita nel 1528 ad Ayodhya – che la tradizione indiana considera la città natale di Ram (incarnazione del dio Vishnu) – è da secoli al centro di contenziosi tra musulmani e indù. Questi ultimi affermavano che la moschea fosse costruita sulle rovine di un antico tempio induista e tentarono varie volte di abbatterla. Convocati ad Ayodhya per una cerimonia simbolica di inizio del cantiere del tempio indù, il 6 dicembre 1992 militanti del Sangh Parivar si scagliarono contro la moschea, abbattendo le tre cupole in meno di tre ore. Dall’assalto scaturirono violenti scontri in tutto il Paese tra indù e musulmani, che portarono alla morte di almeno 2mila persone.

Alla notizia della decisione della Corte suprema, Salman Soz, portavoce del Congress, ha detto che Kalyan Singh e Uma Bharti dovrebbero dimettersi dai rispettivi incarichi parlamentari. Al contrario, i membri del Bjp stanno facendo quadrato attorno ai loro colleghi e lamentano che le accuse sarebbero senza fondamento.