Salesiano di Bangalore: dai bambini di strada, la miglior lezione di vita
di Santosh Digal

Il lavoro di p. George Kollashany risale al 1975. Dal Vangelo di Luca ha tratto l’ispirazione a impegnarsi tra i poveri. I bambini cambiano l’approccio di educatori e politiche. Il modo con cui essi affrontano le sfide “è di ispirazione”. I ragazzi sono il “polso della società”.


Bangalore (AsiaNews) – “Lavorare nelle periferie, e in particolare tra i bambini di strada, mi ha aiutato a rimanere produttivo nella vita missionaria”. Lo afferma ad AsiaNews p. George Kollashany, un salesiano di Bangalore, nel Karnataka. Dal 1975 il sacerdote lavora con bambini poveri e “che corrono rischi”. Vivere con coloro che sono ai margini della società, afferma, “è la migliore scuola di vita”.

“Lavorare con i bambini poveri di strada – dice – ha trasformato la mia vita missionaria. Ho imparato tanto da loro”. P. Kollashany racconta di aver ricevuto l’ispirazione a lavorare con i piccoli quando aveva 16 anni, ascoltando il brano del Vangelo di Luca 4:6-20 [quello della predicazione di Gesù a Nazareth, quando in sinagoga disse di “portare ai poveri il lieto annuncio” – ndr]. Da quel momento si è avvicinato ai salesiani di don Bosco e poi durante il periodo degli studi di teologia ha iniziato a collaborare per lo sviluppo dei minori poveri in India.

P. Kollashany si sente “ispirato e rinvigorito dal modo in cui i piccoli reagiscono alle sfide e ai rischi”. A tal proposito riporta la storia di un ragazzo di 16 anni, “che sta lottando per superare l’esame di 10ma classe presentandosi da privatista, dopo aver abbandonato la scuola alla quinta classe. Nel frattempo egli è riuscito ad estinguere il debito del padre, pari a 200mila rupie [quasi 2.900 euro, ndr], lavorando come spazzino. Con i soldi guadagnati, 300 rupie al giorno [4 euro], egli ha saputo nutrire la nonna disabile, la madre invalida a causa delle ustioni da kerosene versatogli addosso dal marito in un tentativo di omicidio, e persino a comprare una bicicletta e pagare gli studi del fratello”. “Sono entusiasta – aggiunge – di come egli ha saputo creare legami tra le persone, le stesse che oggi gli hanno prestato i soldi con cui sta costruendo la propria casa”.

I ragazzi di strada, afferma, “stanno modellando il futuro dell’umanità e le proprie vite. È la legge della natura. Stare con loro e imparare da loro è il modo migliore per crescere, imparando a non perdere la propria passione adolescenziale e fanciullezza”. “È nelle periferie – sostiene – in mezzo a coloro che sono ai margini e al di fuori delle tendenze dominanti, che si può toccare il polso della società, che si può misurare l’essenza di una comunità e purificare i suoi valori come un fuoco”.

Il salesiano spiega che negli anni anche il suo approccio ai minori è cambiato, “perché quando si ha a che fare con i piccoli non si possono attuare gli stessi programmi, schemi o politiche. Essi richiedono un cambio attitudinale”. Per esempio egli cita il fenomeno del “marinare la scuola”. “Scappare non è un crimine – afferma – è solo la risposta immediata di un bambino di fronte agli abusi, o a situazioni inaccettabili, o persino all’attrazione verso qualcosa di nuovo. Per questo assentarsi alle lezioni fa parte del fenomeno della crescita, anche se all’inizio è stato difficile da accettare”. Secondo il sacerdote, “anche le politiche in tema di minori devono cambiare”. Negli anni ’70, ricorda, “lo Juveniles Act considerava i giovani come dei delinquenti e li trattava da criminali. Quel sistema andava cambiato. Ora con la legge del 2000 i ragazzi sono considerati come bisognosi di cura e protezione. Non esistono più termini come bambini ‘delinquenti’ o ‘degenerati’. Essi non sono dei criminali. Al contrario, essi sono bambini che hanno bisogno di qualcuno che li curi e li protegga”.