L’Asia piange la scomparsa di p. Augustine Kanjamala, ‘uomo santo di Dio’
di Nirmala Carvalho

Il verbita è stato un noto teologo e missiologo. Ha insegnato nei maggiori seminari dell’India. Da ricercatore accademico, ha capito che il concetto tradizionale della missione cristiana non è più rilevante in Asia. Da superiore provinciale, ha aperto a Mumbai un centro per lavoratori migranti e domestici. L’impegno a favore di tribali e dalit ha portato ad un cambio nella mentalità indù di chi lo ha conosciuto.


Mumbai (AsiaNews) – L’Asia piange la scomparsa di p. Augustine Kanjamala svd, noto teologo e missiologo, deceduto ieri all’Holy Spirit Hospital di Mumbai. Ad AsiaNews suor Meena Barwa, nipote di mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, esprime profondo dolore per la morte del sacerdote e lo ricorda come un “uomo santo di Dio”. “Egli è stato un sacerdote semplice – afferma – e ha fatto tante cose positive per la popolazione tribale dell’Orissa, tra cui era noto e amato”.

Suor Meena ricorda di averlo “incontrato per la prima volta a Mumbai nel maggio 2016. Egli era così incoraggiante e apprezzava molto il modo in cui Dio operava nella mia vita. Era felice che avessi iniziato la laurea in Legge e mi ha incoraggiata a studiare di più in modo da mettere le mie competenze legali a disposizione di tutte le donne in circostanze difficili e che fronteggiano sfide. P. Augustine è stato un pioniere della giustizia di genere e dell’uguaglianza all’interno della Chiesa. Egli ha amato i poveri e li ha serviti in modo instancabile per risollevarli e dare loro autonomia e dignità. Egli si è interessato in particolare alle ragazze, alle donne e alle religiose, e voleva che esse avessero un ruolo maggiore nella Chiesa. Dio gli conceda riposo e pace in Paradiso”.

Augustine Kanjamala era nato in Kerala, nel sud dell’India, nel 1939 e all’età di 16 era entrato nel seminario del Verbo Divino. Nell’ottobre 1970 è stato ordinato sacerdote, e per i successivi tre anni ha lavorato tra i tribali cattolici dell’Orissa (India dell’est). Egli ha insegnato teologia della missione nei maggiori seminari indiani e nel 1986 ha studiato come ricercatore residente alla Catholic Theological Union di Chicago. È autore di Religion and Modernization of India (1981) e di numerosi articoli. [Il volume] The Future of Christian Mission in India è il frutto di 40 anni di ricerca, insegnamento e pubblicazioni.

P. Augustine Kanjamala ha conseguito un dottorato in Sociologia all’Università di Lancaster, è stato direttore dell’Indian Institute of Culture ed è stato superiore provinciale del Verbo Divino (Svd) della provincia di Mumbai. Nel “The Future of the Christian Mission in India” (Pickwick, 2014), egli sostiene che gli sforzi missionari della Chiesa cattolica in India in generale hanno fallito nel raggiungere le classi elevate. Secondo p. Kanjamala, il messaggio cristiano ha avuto molto più fascino sui dalit e sui tribali perché predicava i principi di uguaglianza e dignità umana. Egli ha scritto che “[i cristiani] si sono opposti alla cosiddetta oppressione dei popoli, perciò le persone delle caste più basse considerano [il cristianesimo] come il modo per superare la storica oppressione nei loro confronti”.

Dati recenti, egli affermava, mostrano che il tasso di alfabetizzazione nello Stato indiano dell’Orissa è molto più alto per i cristiani dalit rispetto ai membri dei gruppi non cristiani. Egli diceva che, in linea generale, i cristiani tra le classi inferiori dell’India hanno migliori condizioni in termini di occupazione e opportunità di vita. D’altro canto, egli riconosceva che diventare cristiani può esporre i dalit e i tribali a forme ulteriori di discriminazione, questa volta basate sulla religione oltre che sulla casta. “L’accusa di conversione al cristianesimo da parte dei fondamentalisti – sosteneva – è infondata e motivata dal punto di vista politico. Se qualcuno è turbato dai risultati della ricerca, il lato positivo è che il futuro della missione è tanto luminoso quanto il Regno di Dio che Gesù ha proclamato”.

In quanto ricercatore accademico che basava i suoi studi su dati empirici, p. Augustine ha detto ad AsiaNews che il concetto tradizionale della missione cristiana non è più rilevante, almeno in Asia, in base alla realtà di oggi. Dopo quasi tre-quattro secoli da quando la fede cristiana è arrivata in Asia, meno del 3% della popolazione l’ha accolta. Dopo così tanto tempo, denaro e sforzo, quasi il 97% della popolazione ha rifiuto il concetto di cristianesimo.

Nel suo libro, Augustine ha delineato una chiara distinzione tra comprensione quantitativa e qualitativa della missione e ha suggerito che in termini di numeri i cristiani sono appena il 2,3% della popolazione. La missione qualitativa è stata strumentale nello stabilire il Regno di Dio, dove la dignità umana, la giustizia, la pace e lo sviluppo hanno dato uno sviluppo umano integrale ai più oppressi e alle classi più depresse, ai fuori casta e agli intoccabili che erano “trattati peggio dei cani”.

Da notare è che non si parla solo di istituzioni create per le cure sanitarie e l’educazione, ma ciò che è ancora più fondamentale è il cambiamento della mentalità indù. Questo porta a cambiamenti sociali come il rifiuto delle cattive pratiche come il sati [l’antica usanza indù di immolare vive le vedove sulla pira del marito morto – ndr], i matrimoni minorili e la castrazione per i bambini. L’identità religiosa che molti appartenenti a caste e gruppi emarginati hanno trovato nel cristianesimo, li ha aiutati ad alzare la voce sulla loro oppressione e sullo sfruttamento e a riaffermare se stessi.

Nel 2016 p. Augustine Kanjamalaha ha scritto “Mission Trends in India”. Da segretario per l’evangelizzazione della Conferenza episcopale indiana (carica che ha ricoperto dal 1996 al 2004), il verbita ha condotto il “primo sondaggio nazionale della Commissione della Cbci per l’evangelizzazione in India”. Attraverso i membri del suo gruppo, circa 400 persone, ha raccolto pareri e punti di vista di circa 15mila intervistati – sacerdoti, suore e laici da 40 diocesi campione – sui differenti aspetti della missione. P. Augustine ha spiegato ad AsiaNews: “Una delle maggiori scoperte, tra le altre, è che quasi l’85% dei sacerdoti e delle suore, a differenza del passato, non hanno come obiettivo primario della missione la conversione ecclesio-centrica. Ormai è risaputo l’insegnamento ufficiale sulla possibilità di salvezza al di fuori della Chiesa, nello scenario del fallimento delle conversioni in termini numerici. Solo il 2,5% della popolazione è cristiana. Il 97% degli indiani sta trovando la propria salvezza al di fuori della salvezza cristiana”.

P. Augustine ha abbracciato [il concetto] di papa Francesco di “Chiesa dei poveri”, lavorando per tre anni tra i tribali cattolici dell’Orissa, servendo i più poveri tra i poveri nelle aree più rurali del Paese, promuovendo in maniera zelante i dalit e i tribali (persino tra i sacerdoti) per gli studi superiori, sia universitari che ecclesiastici. Come papa Francesco, anche lui ha sostenuto “la durezza dell’amore”. Durante la sua carica da provinciale, egli ha rimosso due sacerdoti verbiti, dopo due anni di dialoghi e consultazioni, per “sostenere la dignità del sacerdozio e della società”. Ma questa, come ha dichiarato ad AsiaNews, “è stata la decisione più dolorosa che ho dovuto prendere da provinciale”.

Inoltre il sacerdote ha avuto un’attenzione preferenziale per i lavoratori migranti e domestici della città di Mumbai e degli altri luoghi in cui essi sono costretti a trasferirsi in cerca di lavoro. Nel 2001, da superiore provinciale, ha inaugurato il “Maitri Santagan”, un centro di cura per lavoratori migranti e domestici. Sotto la sua direzione, la società de Verbo Divino si è avventurata in un nuovo tipo di ministero a Mumbai, al servizio di migliaia di loro. Egli ha dato una speciale attenzione alla cura dei migranti, dei poveri e degli emarginati durante l’ultimo capitolo generale. Ha ricercato i mezzi pratici con cui aiutarli, a partire dalla celebrazione della messa in hindi, dallo smarcarsi in ogni modo possibile, per esempio attraverso un impiego alle giuste condizioni. Per questo ha negoziato salari, protetto i loro diritti e dignità, liberato coloro che lavoravano da anni nelle abitazioni di qualche famiglia senza mai avere la possibilità di uscire di casa, incontrare amici e parenti, senza essere pagati per mesi o anni e senza avere il permesso di far visita ai loro luoghi di origine. Egli li ha difesi nei casi di molestie e maltrattamenti. Per lui è stata una sfida, un compito duro, ma l’interesse per i poveri e gli emarginati aveva la priorità su qualsiasi altra cosa. “Rendere i lavoratori migranti e domestici consapevoli dei propri diritti, doveri, dignità e libertà e condividere l’immagine di Dio che è in ogni persona” è stata la priorità di p. Augustine.