Asian Youth Day, mons. Heny D'Souza invita i giovani cristiani a portare la luce di Cristo all'Asia ed essere leader

Al raduno dei giovani in Indonesia, il vescovo indiano ha parlato ai giovani dell'unità nella diversità. E della resposabilità di rispondere a Dio sull'ascesa del fondamentalismo religioso che minaccia la pace e la sicurezza in Asia. “La Chiesa e l'Asia hanno bisogno dei giovani", ha concluso, "hanno bisogno dei talenti della gioventù, della loro energia, della loro immaginazione e della loro leadership".


Yogyakarta (AsiaNews) – Il vescovo indiano Henry D’Souza - della diocesi di Bellary (Karnataka) - ha voluto portare il saluto di oltre 600 milioni di giovani indiani, durante la sua omelia all’Asian Youth Day in Indonesia. E dopo aver sottolineato la bellezza e le differenze fra i due Paesi e le diversità che caratterizzano le loro popolazioni, lingue, culture, religioni, si è concentrato sul tema dell’unità come la chiave in mano ai giovani per aprire tutte le porte della vita.

Il contributo dell’India, ha detto, viene dalla vita esemplare dei suoi santi, "vale a dire San Tommaso apostolo, San Francesco Saverio, San Gonsalo Garcia, S. Alfonsa, Madre Teresa ed altri".

L’ispirazione della parola di Dio proclamata nelle letture liturgiche ha chiaramente indicato che “il piano di Dio è per l'unità dell'umanità”, ha sottolineato D’Souza. Anche “Gesù ha voluto l'unità e ha pregato per l'unità di tutti”, ha continuato sgranando ai giovani la sequenza del piano della salvezza: l’alleanza con Abramo attraverso la quale “tutte le famiglie della Terra sarebbero state benedette”. La Torre di Babele "simbolo della ribellione e della divisione".

Con l'intervento di Dio le differenze non vengono eliminate: “L'ebreo rimane un ebreo, la femmina non è trasformata in un uomo e né lo schiavo è liberato grazie alla sua fede in Cristo. No”, ha scandito il vescovo indiano. Ma “l’unità viene realizzata nonostante le differenze, rendendo così le distinzioni irrilevanti”. San Paolo ci insegna, ha ancora sottolineato, come osservare queste differenze. Tra i molti passaggi biblici citati da D’Souza, la lettera agli Efesini: "C'è un solo corpo e uno Spirito, come sei chiamato in una speranza della tua vocazione. Un solo Signore, una fede, un battesimo, un Dio".

A questo punto il vescovo si è rivolto a ciascuno dei giovani presenti come stesse guardandoli negli occhi: “In altre parole, non importa in quale gruppo tu appartieni. Sei libero o uno schiavo? Sei colto o non istruito? Sei maschio o femmina? Prima di Dio e in Cristo siete gli stessi, gli uni come gli altri, con uguale dignità! L'accettazione divina non dipende dalla propria etnia, dal sesso, dalla condizione sociale. Semplicemente non conta”.

Così anche si può sperimentare l’unità del mondo “solo nella comunità del popolo di Dio”. Dunque, “tutto ciò che le nazioni e le popolazioni del mondo devono fare è sottomettersi a Cristo, che è il capo di questa umanità redenta e entra nella comunione dei santi dove tutte le distinzioni sociali ed etniche perdono il loro significato. In questo corpo, Cristo è il capo, il resto sono membri, uniti in Lui”.

A tal proposito D'Souza ha citato il vangelo di Giovanni. Gesù ha pregato: "Io sono in loro e tu in me, in modo che possano essere portati a completare l'unità ". E poi il Salmo 133: "Ecco, quanto è buono e quanto è piacevole che i fratelli possano stare insieme nell'unità!" Infine, di nuovo San Paolo che rimprovera la Chiesa divisa di Corinto e le ordina di essere "un cuore solo e un’anima sola”.

“L’Asia - ha continuato mons. D'Souza - sta affrontando l'ascesa del fondamentalismo religioso e la minaccia per la pace e la sicurezza, l’intolleranza religiosa causa più violenze e morti di qualsiasi altra arma”. “La gioventù cattolica dell'Asia”, ha allora concluso, “ha la responsabilità di rispondere a Dio di tali situazioni. L'azione concertata per promuovere l'armonia religiosa e le risoluzioni di conflitti in Asia "dovrebbe essere una priorità delle nostre associazioni giovanili". La sfida più grande di fronte ad un giovane in Asia “è accendere la speranza in milioni di persone che cercano un raggio di speranza per illuminare le loro vite e rendere le loro lotte significative”. L’auspicio è che ciascun giovane presente “diventi campione dell’unità di tutti i popoli”.

Fra i compiti assegnati dal vescovo di Bellamy, che è anche presidente della Commissione giovanile dei vescovi indiani,  spicca l'invito a diventare “leader del futuro assumendo ruoli di leadership in tutti i settori della vita moderna: leadership spirituale, come sacerdoti, religiosi e consacrati”, ma anche nella vita politica, nei media, nell’arte e nelle altre professioni. “La Chiesa e l'Asia hanno bisogno dei giovani. Hanno bisogno dei talenti della gioventù, della loro energia, della loro immaginazione e della loro leadership. I giovani di oggi non possono permettersi di essere distratti dalla violenza, dal materialismo, dalla pornografia, dalla droga e dalla vita insensata. Né possono essere né spettatori indifferenti né silenziosi. Devono essere focalizzati e diventare realizzatori, veri agenti trasformatori. Hanno bisogno di costruire ponti che collegano persone di tutte le fedi, culture e nazionalità. Cominciamo qui a Yogyakarta e portate la torcia accesa fino alle estremità dell'Asia”.

(Ha collaborato Nirmala Carvalho)