Papa in Colombia: “Impegnarsi con maggiore audacia nella formazione di discepoli missionari”

Celebrando messa a Medellin, Francesco dice che “Coinvolgersi, per qualcuno può sembrare sporcarsi, macchiarsi”: invece significa “crescere in audacia, in un coraggio evangelico”. “La Chiesa non è una dogana, vuole le porte aperte perché il cuore del suo Dio non è solo aperto, ma trafitto dall’amore che si è fatto dolore”.


Medellin (AsiaNews) – “Impegnarsi con maggiore audacia nella formazione di discepoli missionari”. E’ l’appello che papa Francesco ha rivolto alla Chiesa di Colombia nel corso della messa che ha celebrato a Medellin (nella foto), seconda città del Paese, presenti, secondo gli organizzatori, oltre un milione di persone. E’ il principale centro industriale del Paese, simbolo per anni del narcotraffico.

Ma Medellin, da dove il Papa ha lanciato il suo appello, è anche un luogo particolarmente significativo nella storia dell’intera Chiesa latinoamericana. Qui, nel 1968, si svolse la seconda assemblea del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam). Erano gli anni del Concilio Vaticano II. Un’assemblea che Paolo VI venne ad aprire e Giovanni Paolo II evocò nel suo viaggio in Colombia del 1983. L’appello di Francesco, inoltre, è un diretto richiamo ad Aparecida, dove nel 2007 si svolse la quinta conferenza dell’episcopato latinoamericano. Del documento finale di quell’assemblea il cardinale Bergoglio fu l’estensore e ad esso è particolarmente legato.

Da essa viene quanto Francesco ha specificato oggi: “Discepoli che sappiano vedere, giudicare e agire, come proponeva il documento latinoamericano nato in queste terre”. “Discepoli missionari che sanno vedere, senza miopie ereditarie; che esaminano la realtà secondo gli occhi e il cuore di Gesù, e da lì la giudicano. E che rischiano, agiscono, si impegnano”. “Coinvolgersi, per qualcuno può sembrare sporcarsi, macchiarsi”: invece significa “crescere in audacia, in un coraggio evangelico che scaturisce dal sapere che sono molti quelli che hanno fame, fame di Dio, fame di dignità, perché sono stati spogliati. E, come cristiani, aiutarli a saziarsi di Dio; non ostacolare o proibire loro questo incontro”.

Per Francesco, quindi, è importante prima di tutto che il discepolo non si attacchi a certe pratiche che avvicinano più al modo fare di alcuni farisei di allora che a quello di Gesù: erano “paralizzati” da un’interpretazione rigorista della legge, sottolinea. Gesù invece non si ferma ad un’attuazione apparentemente corretta. Ma insegna che “la relazione con Dio non può essere un freddo attaccamento a norme”. Il primo tratto che deve plasmare la vita del discepolo è, invece, quello di andare all’essenziale. Il discepolato, infatti, non può essere motivato “semplicemente da una consuetudine” , dal fatto che “abbiamo un certificato di Battesimo”, dice, ma deve partire da un’esperienza viva dell’amore di Dio. “Non è qualcosa di statico, ma un continuo movimento verso Cristo”, “un’apprendistato permanente per mezzo della sua Parola”.

Perché “non possiamo essere cristiani che alzano continuamente il cartello ‘proibito il passaggio’, né considerare che questo spazio è mia proprietà, impossessandomi di qualcosa che non è assolutamente mio. La Chiesa non è nostra, è di Dio; per tutti c’è posto, tutti sono invitati a trovare qui e tra noi il loro nutrimento. Noi siamo semplici servitori e non possiamo essere quelli che ostacolano tale incontro”. “Lo ha capito bene Pietro Claver” ha detto Francesco riferendosi al gesuita che nel 1600 si dedicò all’assistenza ai tanti schiavi neri ce venivano deportati in America latina e che domani venererà a Cartagena: “Schiavo dei neri per sempre fu il motto della sua vita, perché comprese, come discepolo di Gesù, che non poteva rimanere indifferente davanti alla sofferenza dei più abbandonati e oltraggiati del suo tempo e che doveva fare qualcosa per alleviarla”.

A braccio, infine. Ha affermato che “la Chiesa non è una dogana, vuole le porte aperte perché il cuore del suo Dio non è solo aperto, ma trafitto dall’amore che si è fatto dolore”. Riferendosi poi all’episodio delle nozze di Cana, Francesco ha ricordato che Gesù “manda a chiamare tutti, sani e malati, buoni e cattivi, tutti!”. “Questo è il nostro servizio”, ha aggiunto. “Mangiare il pane di Dio, mangiare l’amore di Dio, mangiare il pane che ci aiuta a sopravvivere”. “Sono venuto fin qui proprio per confermarvi nella fede e nella speranza del Vangelo”, il congedo finale: “Rimanete saldi e liberi in Cristo, così da rifletterlo in tutto quello che fate; abbracciate con tutte le vostre forze la sequela di Gesù, conoscetelo, lasciatevi chiamare e istruire da lui, annunciatelo con la maggiore gioia possibile. Siamo semplicemente missionari che portiamo a tutti la luce e la gioia del Vangelo a tutte le genti”.