Barzani: pronti i nuovi confini del Kurdistan

Il presidente del Kurdistan irakeno conferma l’intenzione di andare al voto ed è pronto a dare battaglia per il futuro di Kirkuk. La città dovrà essere in futuro il luogo “simbolo di coesistenza di tutte le etnie”. La vittoria del “Sì” non comporta in modo automatico la dichiarazione di indipendenza, ma rafforzerà le trattative con il governo centrale.


Erbil (AsiaNews) - Se Baghdad non accetterà l’esito del referendum curdo sull’indipendenza in programma a fine mese, le autorità del Kurdistan irakeno sono pronte allo strappo, tracciando in modo unilaterale e autonomo i confini del futuro Stato. È quanto ha affermato il presidente Massoud Barzani in una intervista alla Bbc, il quale ha rilanciato al contempo la via del dialogo e dell’accordo consensuale con il governo centrale se il popolo curdo sceglierà la secessione. 

Nei giorni scorsi il Primo Ministro irakeno Haider al-Abadi ha respinto il referendum bollandolo come “incostituzionale”. 

Tuttavia, la leadership curda ha confermato l’intenzione di proseguire con il voto. Il presidente Barzani avverte che la popolazione è pronta a combattere contro qualsiasi gruppo che intenda cambiare la “realtà” di Kirkuk - uno dei luoghi controversi attorno a cui si consuma la battaglia fra Erbil e Baghdad - attraverso “la forza”. 

I Peshmerga (combattenti curdi) hanno assunto da tempo il controllo della città; il sottosuolo è ricco di petrolio e rappresenta una riserva ambita da cui attingere per alimentare le finanze del Paese. Tuttavia, all’interno vi è una nutrita rappresentanza di arabi e turcomanni e la stessa Baghdad - così come le milizie combattenti sciite - considera l’area come parte integrante e imprescindibile del proprio territorio. 

I curdi rappresenta il quarto gruppo etnico per importanza e diffusione in Medio oriente, ma non hanno mai ottenuto una nazione propria, stabile e indipendente. In Iraq costituiscono dal 15 al 20% del totale della popolazione su un totale di 37 milioni di abitanti e hanno subito una feroce repressione da parte dell’esercito irakeno ai tempi di Saddam Hussein fra gli anni 80 e 90 del secolo scorso. 

Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan si svolgerà il prossimo 25 settembre nelle tre province che costituiscono la regione: Dohuk, Erbil e Sulaimaniya, oltre che “aree del Kurdistan al di fuori dell’amministrazione regionale” (fra cui Kirkuk, Makhmour, Khanaqin e Sinjar).

Le autorità curde hanno chiarito che la vittoria del “Sì” non comporterebbe di fatto la dichiarazione di indipendenza, ma rafforzerebbe i negoziati con Baghdad per un ulteriore “allontanamento” dal governo centrale. “Questo è il primo passo - avverte Barzani -. Per la prima volta nella storia il popolo del Kurdistan sarà libero di decidere il proprio futuro”. Dopo il voto “inizieremo le trattative con Baghdad - prosegue - per raggiungere un accordo sui confini, sull’acqua e il petrolio”. “Questo sarà il nostro modo di procedere - conclude il leader curdo, lanciando un avvertimento - ma se non lo accettano, il discorso sarà ben diverso”. 

Il presidente ha infine blandito i messaggi di allerta lanciati da Stati Uniti e Regno Unito, i quali temono che il referendum possa costituire un rischio per l’Iraq nella lotta allo Stato islamico (SI) e per la stabilità della regione. E guarda alla “contesa” Kirkuk come al futuro luogo “simbolo di coesistenza per tutte le etnie”. 

In questi anni nella regione hanno trovato riparo centinaia di migliaia di cristiani, oltre che musulmani e yazidi, fuggiti dalla piana di Ninive, per l’arrivo dello Stato islamico. E fra le voci critiche e contrarie alla divisione del Paese vi è proprio quella della Chiesa caldea, che opera da tempo per l’unità dell’Iraq di fronte ai problemi interni e alle minacce esterne (fra cui lo Stato islamico). L’opposizione del patriarcato non riguarda solo eventuali mire indipendentiste dei curdi, ma anche i progetti alimentati da alcuni gruppi cristiani; essi, in contrasto con la politica promossa dal patriarca mar Louis Raphael Sako, rivendicano la creazione di un  “ghetto cristiano” nella piana di Ninive. (DS)