Dopo il Congresso del Pcc, i rapporti commerciali tra la Cina e il mondo

Analisti economici valutano il rafforzamento del potere di Xi Jinping. Gli scambi economici tra Pechino e Unione europea potrebbero non avere un esito positivo. L’enfasi sul controllo statale e il debito legato alle imprese di proprietà dello Stato.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) – A conclusione del Congresso del Partito comunista cinese, che ha visto il rafforzamento del potere di Xi Jinping in Cina, gli analisti europei ne valutano le ripercussioni economiche sull’Europa. Xi è ormai considerato il “Nuovo Mao”. Nel suo discorso all’apertura del Congresso, egli ha promesso di andare verso un “moderno Paese socialista”, “prospero, forte, democratico e culturalmente avanzato”. Ma, ha anche sottolineato che il Partito-Stato deve essere guida di tutti gli aspetti della società, anche dell’economia. E pur promettendo una maggiore apertura al mercato, parlando di riforme, egli ha sottolineato l’importanza di potenziare - e non ridurre - le imprese di Stato.

L’ambasciatore dell’Unione europea (Ue) a Pechino, Hans-Dietmar Schweisgut, commenta: “In questo discorso [di Xi] il mercato mondiale ha avuto un peso inferiore che nel passato, è stato maggiormente menzionato il ruolo dello Stato”.

Quando Xi è andato al potere nel 2012 aveva promesso piene riforme di mercato. Ma nei cinque anni trascorsi le scelte del Partito-Stato sono state sempre a favore delle imprese statali, meno favorevoli alle imprese private cinesi, sfavorevoli alle imprese straniere.

Il potenziamento della presenza dello Stato nell’economia rischia di rendere ancora più difficile il commercio internazionale, anche quello fra Cina e Ue.

Europa e Cina sono i due più grandi partner commerciali al mondo. La Cina è il maggior Paese esportatore verso l’Europa dopo gli Stati Uniti, mentre l’Europa è il principale partner commerciale della Cina.

 L'Ue è certamente impegnata ad aprire sempre più le relazioni commerciali con Pechino, ma allo stesso tempo vuole garanzie che la Cina commerci in modo equo, rispetti i diritti di proprietà intellettuale e soddisfi i suoi obblighi come membro dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc). Nel 2013 l'Ue e la Cina hanno avviato negoziati per un accordo di investimenti.

C‘è però un netto squilibrio: la Cina esporta verso l’Europa circa il doppio di quanto importi dall’Europa.

“Noi abbiamo sempre detto – sostiene Schweisgut -  che per cambiare questa situazione la Cina dovrebbe aprire i suoi mercati per offrire all’Europa le stesse opportunità d’investimento che le compagnie cinesi hanno attualmente in Europa”.

Questo sarebbe un grande passo avanti nei colloqui Ue-Cina avvenuti alla fine del 2013 tra Bruxelles e Pechino, e allo stesso tempo una risposta diretta all'impegno politico dei leader europei e cinesi nel vertice UE-Cina del giugno 2015. L’accordo aveva anche come obiettivo quello di fornire agli investitori da entrambe le parti un prevedibile accesso a lungo termine sia ai mercati dell'Ue che a quelli cinesi proteggendo sia gli investitori che i loro investimenti.

I risvolti di tale accordo potrebbero offrire un reale valore aggiunto per le imprese europee e cinesi che investono nei rispettivi mercati.

Anche se Xi ha fatto riferito alle riforme, gli analisti e gli economisti hanno dichiarato che la liberalizzazione del mercato è improbabile che si realizzi. Quanto Xi intenda per riforma, dicono, dovrebbe essere il miglioramento del modello di sviluppo condotto dallo Stato, vale a dire l'aggiustamento dell'intervento statale per risultati più efficaci.

"Non si prevedono grandi riforme, Xi è un conservatore e crede nel controllo del partito", ha dichiarato Willy Lam, professore aggiunto presso il Centro di studi per la Cina dell'Università Cinese di Hong Kong.

"Molte delle riforme, nell’ottica di Xi, favoriscono chiaramente le grandi Soe (State owned enterprise), cioè le imprese statali, molto di più delle imprese private", ha dichiarato Christopher Balding, professore associato di affari economici presso la Hsbc Business School di Pechino.
 

Ma questa unità di controllo comporta rischi significativi. Anche se il sostegno del potere statale ha portato ad alcune trasformazioni, significa anche che il credito continua ad essere trasferito sulle Soe non produttive per spingere la crescita, mentre le banche sottoscrivono i prestiti dato che i debitori sono legati a una garanzia statale implicita. Nella Cina di oggi, le Soe ricevono fino al 30% del totale dei prestiti, ma rappresentano solo il 16% dell'occupazione e meno di un terzo dell'investimento di beni fissi. L'anno scorso, il suo ritorno sugli attivi è stato del 2.9% - rispetto al 10,9% del settore privato.

Inoltre, l'attenzione sulle Soe significa che la Cina non potrà arrivare a risolvere il suo problema di debito. Il debito di Soe è stato da lungo tempo il più importante fattore di freno del Paese, che è aumentato del 160% del prodotto interno lordo nel 2008, e ad oggi raggiunge la vertiginosa quota di circa il 260%.

Tale indice viene osservato con attenzione anche da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi), che avverte che esso potrebbe portare a turbolenze finanziarie, in quanto la crescita del debito diventerebbe insostenibile.

"Il debito sta crescendo", ha dichiarato Balding dell'Università di Pechino. "Essi [funzionari cinesi] sono sì preoccupano, ma privilegiano comunque la crescita finanziata delle Soe sul debito".