Condannato a cinque anni di prigione Lee Ming-che, attivista taiwanese pro-democrazia

È accusato di sovversione per aver “promosso la democrazia” sui social media. Era stato processato per la prima volta a settembre, dopo essere scomparso a marzo, mentre viaggiava in Cina. La dura reazione di Taiwan: sempre più difficili i rapporti fra Pechino e Taipei.


Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Lee Ming-che sconterà in prigione una pena di cinque anni per “sovversione”. È l’ultimo atto della vicenda giudiziaria che riguarda l’attivista taiwanese, processato a settembre in una corte della provincia di Hunan. Secondo il governo cinese egli stava cooperando con un cittadino cinese per attaccare il governo cinese e promuovere una “democrazia in stile occidentale” su programmi di messaggistica e social media.

Lee, 42 anni, è membro di una ong taiwanese che lavora per la democrazia, ed  è stato spesso in contatto con gruppi della società civile in Cina e via online ha condiviso con loro le “esperienze democratiche” a Taiwan, spedendo ad essi diversi libri.

Lo scorso 19 marzo egli è scomparso mentre entrava da Macao in Cina, attraverso Zhuhai. Più tardi, le autorità cinesi hanno confermato la sua detenzione perché sospettato di sovversione.

Taiwan ha reagito con durezza alla condanna del proprio cittadino. Oggi, una dichiarazione dell’ufficio presidenziale di Taipei critica duramente la sentenza, ribadendo la richiesta di rilascio della presidente Tsai Ing-wen. La sentenza non è “accettabile” perché “l’idea di diffondere democrazia è innocente”. Nel comunicato, Taiwan afferma che “il caso di Lee Ming-che ha seriamente danneggiato le relazioni fra i due Paesi e in particolare messo in discussione la persistenza e ideali taiwanesi per democrazia e libertà”.

I rapporti fra Taipei e Pechino sono al minimo storico da quando Tsai, conosciuta per la sua visione pro-indipendenza, è salita al potere lo scorso anno. Pechino considera Taiwan una propria provincia e mira a riprenderne il controllo. Xi Jinping si è espresso diverse volte contro la minaccia del “separatismo”.