Decine di migliaia di iraniani in piazza a difesa del governo. Nuove vittime e arresti

Imponenti marce  contro gli Usa e fedeltà alla leadership. Il bilancio delle vittime delle proteste sale a 23 morti e 450 arresti. Khamenei: “Nemici” esterni che vogliono fomentare il caos e colpire le istituzioni. Zarif: Sicurezza e stabilità dipendono dagli iraniani, liberi di “protestare e votare”. Povertà e disoccupazione i motivi fondamentali delle manifestazioni.

 


Teheran (AsiaNews) - Questa mattina decine di migliaia di persone sono scese in piazza in diverse città, nel contesto di una massiccia campagna di sostegno al governo e alla leadership religiosa della Repubblica islamica, teatro da giorni di violente proteste. Secondo quanto riferisce la tv di Stato, sono almeno 23 le vittime accertate negli scontri che hanno portato all’arresto di oltre 450 persone. 

Cittadini hanno marciato per le vie di alcune delle più importanti città del Paese, fra cui Ahvaz (sud-ovest), Kermanshah (ovest) e Gorgan (nord). Molti gli slogan intonati dai dimostranti, come “leader, siamo pronti” uniti ai numerosi cori contro Stati Uniti (“morte all’America”) e Israele. I dimostranti hanno sventolato bandiere della Repubblica islamica e cartelli con il volto del leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, e la scritta “morte ai sediziosi”.       

Le manifestazioni di questa mattina seguono una notte di relativa calma nella capitale, Teheran, epicentro delle proteste nei tre giorni precedenti. Dietro la rivolta, promossa soprattutto dai giovani - l’età media dei fermati è di 25 anni - i problemi economici e le misure di austerità varate dall’esecutivo, fra cui taglio alla spesa sociale e l’aumento dei prezzi di cibo e carburante. 

Il presidente Hassan Rouhani ha parlato di una “piccola minoranza” di persone che fomentano la rivolta, aggiungendo che sarà il popolo a rispondere loro in maniera adeguata. E per far cessare le violenze non esclude la mobilitazione di milioni di persone. 

Ieri, per la prima volta dall’inizio della protesta, è intervenuta anche la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, che ha puntato il dito contro “i nemici” dell’Iran che stanno fuori dal Paese. Essi, accusa il leader sciita, “hanno rafforzato l’alleanza per colpire le istituzioni” della Repubblica islamica e cercano di sfruttare “l’opportunità” per fomentare il caos.

Per senza citarli in modo diretto, il grande ayatollah ha parlato di nemici esterni che “hanno usato diversi strumenti”, fra cui “denaro, armi, politica e spionaggio per creare disordini”. “A tempo debito - ha concluso Khamenei - parlerò al popolo dei recenti incidenti”. 

Intanto si rafforza la pressione internazionale sui vertici istituzionali del Paese, perché la rivolta non venga repressa nel sangue. In una nota l’Unione europea (Ue) manifesta preoccupazione per l’escalation delle violenze e assicura di “seguire da vicino” le dimostrazioni in corso” e la “perdita inaccettabile di vite umane”. Gli Stati Uniti chiedono con insistenza una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, mentre il ministro francese degli Esteri ha deciso di rimandare la visita a Tehran in programma il 5 e 6 gennaio. 

Sui video e social network si vedono le immagini di dimostranti che cercano di assaltare una caserma della polizia nella cittadina centrale di Qahderijan. Secondo la tv di Stato, sei delle nove vittime registrate nella zona erano persone che cercavano di trafugare armi e munizioni dalla caserma, situata nella provincia di Isfahan e distante circa 350 a sud della capitale. 

Il ministro iraniano degli Esteri Mohammad Zarif ha ricordato che la sicurezza e la stabilità dell’Iran dipendono dalla sua stessa popolazione. Commentando le proteste governative, il capo della diplomazia di Teheran - grande artefice dell’accordo sul nucleare del 2015 - ha parlato di persone “infiltrate” nelle proteste pacifiche. Egli ha quindi aggiunto che non sarà consentito di “violare i diritti degli iraniani”, che sono liberi “di votare e di protestare”. 

Gli iraniani hanno vari motivi per protestare, dalla disoccupazione giovanile all’inflazione, acuita dalle sanzioni che l’amministrazione americana ha mantenuto in vigore a dispetto dell’accordo nucleare (il Jcpoa), soprattutto in tema di prestiti bancari e di crediti.  Una fonte di AsiaNews commenta: "Il 95% dei manifestanti sono giovani al di sotto dei 25 anni. La povertà e l'alta percentuale di disoccupati li porta fino a chiedere un cambiamento del regime". (DS)