Ghouta orientale, svelate le prigioni segrete dei miliziani

Fra i detenuti nella mani delle milizie di Jaych Al-Islam anche donne e bambini. I prigionieri vittime di torture, sfruttati per la costruzione di tunnel segreti e usati come scudi umani. Molti rinchiusi in gabbie lasciate nelle vie e nelle piazze, all’aperto. Le suore trappiste fra le prime a denunciare gli abusi. 

 


Damasco (AsiaNews) - Con la caduta della Ghouta orientale, enclave ribelle alla periferia di Damasco da tempo sotto assedio dell’esercito governativo, emergono i primi dettagli di violenze e abusi commessi dai gruppi gruppi ribelli (e jihadisti) che hanno controllato per anni l’area. Fra questi vi sono le milizie di Jaych Al-Islam, che hanno rinchiuso in carceri di fortuna nell’area di Douma un gran numero di prigionieri, fra i quali vi erano anche donne e bambini (nella foto). 

Fonti locali riferiscono che la vicenda dei detenuti nelle mani del gruppo ribelle hanno rappresentato per molto tempo un soggetto tabù fra gli abitanti di Ghouta est. Vi era infatti il timore diffuso di una rappresaglia da parte dei membri della potente milizia in lotta contro l’esercito del presidente siriano Bashar al-Assad. 

A denunciare per primi i crimini commessi dalle milizie, alcuni membri dell’opposizione che parlano di intimidazioni e pratica diffusa della tortura. Nel tempo si sono moltiplicati i casi di intimidazione - anche sui civli - e le violenze sui prigionieri. Molti i dissidenti o i combattenti di fazioni rivali rinchiusi in carceri ufficiali e clandestine, assieme a civili accusati di collaborazionismo con Damasco. 

Violenze quotidiane perpetrate dai miliziani nel silenzio dei media e dei governi occidentali, come sottolineato in una dura lettera di accusa dalle suore trappiste e denunciato dal nunzio apostolico card. Mario Zenari. Nella missiva le religiose hanno denunciato la pratica di rinchiudere “in gabbie di ferro” uomini e donne “esposti all’aperto e usati come scudi umani”. 

Con la ripresa della Ghouta orientale, quelli che un tempo sono stati prigionieri ora possono raccontare il dramma vissuto. La sorte di militari e civili, fra cui donne e bambini prelevati in territori all’epoca fedeli al governo, è stata uno dei punti della trattativa fra mediatori russi ed esponenti di Jaych Al-Islam. 

Ad eccezione della città di Douma, l’esercito fedele al presidente Assad controlla ormai il 90% dei territori un tempo nelle mani dei miliziani. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, nell’offensiva sono morti oltre 1600 civili. Fonti locali citate da Le Monde riferiscono che il 26 marzo scorso i soldati governativi hanno liberato almeno 28 persone, soldati o civili, detenute a lungo nelle carceri dei ribelli. 

Tuttavia, il numero maggiore di detenuti e prigionieri si troverebbe proprio a Douma, ancora nelle mani dei ribelli. Si tratta dei “rapiti di Adra”, membri del servizio di sicurezza, funzionari e loro famiglie, prelevati nel 2013 nel contesto dell’avanzata dei gruppi anti-Assad, assieme ad altri gruppi di prigionieri di guerra. 

I media governativi siriani accusano i vertici di Jaych Al-Islam di essersi rifiutati di rilasciare anche questi ultimi detenuti nel corso degli ultimi negoziati della scorsa settimana. I prigionieri vengono trattenuti anche per questioni di carattere confessionale, essendo in maggioranza alawiti [l’etnia del presidente Assad]. Sono considerati “moneta di scambio” per future trattative. 

In questi anni i vertici governativi hanno privilegiato le trattative per la liberazione di ufficiali e combattenti, abbandonando al loro destino i civili. Questi ultimi sono stati utilizzati dai gruppi ribelli per la costruzione di tunnel nella zona assediata dai soldati governativi, per sfuggire alla cattura. Altri ancora torturati. 

Secondo quanto riferiscono gli esperti del Centro di documentazione sugli abusi in Siria, il gruppo combattente di Jaych Al-Islam è fra quelli che hanno ammassato il maggior numero di prigionieri. I numeri sono difficili da quantificare, anche se restano pur sempre inferiori a quelli detenuti nelle carceri governative. 

Quanti sono stati liberati in seguito a trattative descrivono un clima di violenze e terrore. Le donne e i bambini venivano separati dagli uomini, alcuni rinchiusi in gabbie poste nelle vie e nelle piazze della cittadina, utilizzati come scudi umani per ripararsi dagli attacchi dell’aviazione siriana e dell’alleato russo. Ancora oggi, fra le decine di detenuti anche nelle mani dei gruppi ribelli e jihadisti, vi sono donne e bambini appartenenti alle minoranze religiose.