Superiori maggiori dell’India: lavoriamo per il Paese, nonostante le critiche

Dal 27 al 30 maggio si è svolta a Chennai l’assemblea triennale. Il tema era la “Chiesa in uscita”, che “deve andare nelle periferie per rispondere ai bisogni materiali e spirituali”. Riaffermata l’unità dei religiosi in un momento delicato per la vita politica dell’India. La lettera dell’arcivescovo di Delhi manipolata dalla stampa come una “cospirazione del Vaticano”.


Chennai (AsiaNews) – Nonostante le critiche rivolte ai cristiani, continuiamo a lavorare insieme per il bene del Paese. È il senso dell’incontro appena concluso dei Superiori maggiori dell’India (Cri, Conference of Religious India), riuniti a Chennai (Tamil Nadu) dal 27 al 30 maggio. A tutti loro mons. Theodore Mascarenhas, segretario generale della Conferenza episcopale indiana (Cbci), ha ribadito l’importanza dell’unità della Chiesa e affermato la necessità che le componenti ecclesiali  – vescovi, Caritas, religiosi e laici – collaborino insieme. Ad AsiaNews p. Rayarala Vijay Kumar, superiore regionale del Pime (Pontificio istituto missioni estere), riferisce che l’incontro è stato l’occasione anche per parlare della situazione politica nel Paese, proiettato verso le elezioni generali del 2019, confermando “l’impegno della Chiesa cattolica per la popolazione bisognosa dell’India”. “Non parlo solo di bisogni materiali – aggiunge il sacerdote – ma anche di quelli spirituali”.

L’assemblea generale dei superiori di tutte le congregazioni religiose – maschili e femminili – si svolge ogni tre anni. All’incontro erano presenti circa 550 superiori e rappresentanti delle gerarchie ecclesiastiche, compreso mons. Giambattista Diquattro, nunzio apostolico in India e Nepal. P. Rayarala riporta: “Una cosa che abbiamo molto apprezzato, è stato il fatto che il nunzio sia voluto rimanere per tutti i quattro giorni di eventi. Ha parlato almeno con 250 religiosi. Questo testimonia l’interesse del Vaticano verso l’India”.

Riprendendo un argomento caro a papa Francesco, le discussioni dell’Assemblea avevano per tema “la Chiesa in uscita”. Esso significa, spiega il superiore Pime, “che la Chiesa deve uscire verso le periferie della società. Vuol dire trovare il Signore in coloro che hanno sete di lui, gli emarginati, e dare una mano alle persone bisognose”. Con il termine “periferia”, continua, “si intende quella fisica – bisognosi, poveri, malati – ma anche spirituale, cioè quelli che vivono nella miseria dello spirito, siano essi ricchi o poveri”.

Tra i primi interventi, quello di p. V.M. Thomas, ex presidente della Cri. Nel suo intervento egli ha messo in luce le sfide della Chiesa indiana in un momento molto delicato per la politica del Paese. “Con il mio discorso – afferma  – ho voluto creare maggiore consapevolezza sulle questioni che affrontiamo. In molti hanno paura per la mancanza di libertà d’espressione. Il problema è che chiunque sollevi critiche sul governo viene additato come anti-nazionale. Non solo cristiani, ma anche musulmani e gli stessi indù”. “Abbiamo tra le più belle istituzioni democratiche del mondo – conclude – e dobbiamo rispettare i valori contenuti nella Costituzione”.

L’incontro avviene mentre nel Paese imperversa la polemica suscitata da lettera pastorale dell’arcivescovo di Delhi, mons. Anil JT Couto. Egli, rivolgendosi ai fedeli della sua diocesi, ha chiesto di pregare e digiunare per un anno in vista delle elezioni politiche del 2019 a causa del “turbolento clima politico”. Il suo appello ha incendiato il dibattito all’interno del partito nazionalista al governo Bjp (Bharatiya Janata Party). Alcuni suoi esponenti di spicco, tra cui il presidente Amit Shah, consigliano al prelato di stare lontano dalle questioni politiche e lo accusano di voler “dividere il voto su questioni settarie”. Altri invece, pur membri del Bjp, continuano a riaffermare la libertà di espressione nel Paese. Uno di questi è Francis D’Souza, ministro per lo Sviluppo urbano di Goa, che sostiene: “La Chiesa ha tutto il diritto di guidare il suo popolo”.

Il rischio, avvertono alcune fonti, “è che nel Paese la società venga sempre più polarizzata. Il partito nazionalista chiede a tutti di essere fedele al governo e ai dettami indù. Ma così si va verso un governo dittatoriale”. Inoltre il tentativo di spaccare la società manipolando l’informazione è sostenuto anche dai media di Stato. In televisione e sui giornali la lettera dell’arcivescovo di Delhi è stata presentata come un’iniziativa del Vaticano in opposizione alla maggioranza indù o peggio ancora di papa Francesco contro il premier Narendra Modi. "In questo modo - affermano le fonti - si strumentalizza tutta la questione, facendo apparire l’appello alla preghiera come una cospirazione del pontefice. Così si minano le fondamenta del cristianesimo e si aumenta l’odio contro i cristiani. L’obiettivo finale sembra essere quello di cacciare tutti i cristiani per creare un Paese indù”.