Giù la borsa di Shanghai. Ma non è tutta colpa della guerra dei dazi
di Paul Wang

In quattro giorni Shanghai è scesa del 6%, il minimo da due anni. Giù anche Hong Kong e Seoul. Pesano le minacce di Trump di mettere dazi per 200 miliardi di dollari a prodotti cinesi di esportazione. Ma il problema rimane il debito statale cinese. Le rassicurazioni di Yi Gang e l’iniezione di nuova liquidità.


Hong Kong (AsiaNews) – Oggi a metà giornata, la borsa di Shanghai ha segnato un -0,6%. Esso va ad aggiungersi al -3,8% di ieri. Negli ultimi quattro giorni essa ha perso il 6%. Per questi risultati i media puntano il dito alla “guerra dei dazi” che si intensifica fra Stati Uniti e Cina. Ma analisti fanno notare anche la debolezza dell’economia cinese, bisognosa di riforme.

Ieri, tutte le Borse nel mondo sono state negative: Hong Kong ha perso il 2,78%; Seoul oltre l’,5%. Ciò è avvenuto dopo la minaccia del presidente Usa Donald Trump di imporre nuovi dazi per 200 miliardi di dollari a prodotti cinesi, seguita dalle affermazioni di Pechino secondo cui la Cina non ha altra scelta che prendere misure globali contro gli Usa. Il settore delle telecomunicazioni ha trascinato il ribasso. Le azioni della ZTE sono cadute del 10% per il quinto giorno consecutivo, dopo che il Senato Usa ha votato per re-imporre il bando sulla vendita alla compagnia cinese di prodotti elettronici Usa.

Con la Borsa scesa al minimo da due anni, Yi Gang, governatore della Banca popolare di Cina, ha suggerito ieri agli investitori di rimanere “calmi e razionali”, assicurando che l’economia del Paese ha una crescente resistenza e capacità di gestire shock provenienti dall’esterno. Yi Gang ha fatto notare che sulla crescita della Cina l’incidenza del commercio è scesa dal 64% nel 2006 al 33% nel 2017, e che le eccedenze delle partite correnti (current account surplus) sono scese dal 10% nel 2007 all’1,3% nel 2017.

Ma secondo gli analisti, le svendite di azioni in questi giorni riflettono molto di più le preoccupazioni sulla stretta operata dalla Cina sui prestiti e sulla liquidità, per diminuire i debiti dello Stato.

Durante tutti questi anni di crisi economica mondiale, l’economia cinese ha potuto avvantaggiarsi di iniezioni di liquidità da parte dello Stato e di prestiti facili dalle banche, soprattutto per le industrie statali. Molti economisti sono convinti che quella cinese è un’economia “drogata”, tenuta in piedi dai prestiti statali e dalla copertura dei debiti da parte dello Stato. Nel 2017 il debito statale è arrivato al 260% del Prodotto interno lordo.

Con una mossa a sorpresa, ieri sera, la Banca popolare di Cina ha fatto un prestito di 200 miliardi di yuan a istituzioni finanziarie iniettando – assieme ad altro – almeno 250 miliardi di yuan (circa 34 miliardi di euro).