Rohingya, conflitti etnici e nazionalismo: le sfide che attendono il Myanmar

“Sebbene la Costituzione riconosca la libertà di religione, molti birmani considerano il Myanmar un Paese buddista e tendono a preoccuparsi per l'influenza delle altre religioni, in particolare dell'islam”. “Infranta la promessa di autonomia, molti gruppi etnici di minoranza hanno imbracciato le armi per ribellarsi contro il governo”.


Roma (AsiaNews) – Negli ultimi mesi, la crisi umanitaria che ha investito la minoranza islamica Rohingya è al centro dell’attenzione internazionale. Tuttavia, i problemi del Myanmar non si limitano allo Stato di Rakhine. Isolato dal resto del mondo per più di cinquant’anni, il Paese e la sua giovane democrazia sono minacciati dall’influenza di alcuni gruppi nazionalisti buddisti. A questo si aggiungono le conseguenze degli annosi conflitti che vedono contrapposti gli eserciti etnici delle minoranze, come quella dei cristiani Kachin, alle forze governative. Pubblichiamo l’analisi di un collaboratore, che insieme al direttore di AsiaNews ha preso parte alla Conferenza internazionale sul tema “Xenofobia, razzismo e nazionalismo populista nel contesto della migrazione globale”, in corso a Roma. L'evento è a cura del Dicastero vaticano per il servizio dello Sviluppo umano integrale e del Consiglio ecumenico delle Chiesa (Wcc), in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei cristiani.

Il Myanmar attraversa un periodo di transizione democratica e, purtroppo, al momento deve affrontare sfide difficili.

Nel Paese, la situazione in corso nello Stato di Rakhine è considerata un conflitto tra comunità, quella Rakhine e quella Rohingya. Nessuno l’ha mai reputata uno scontro religioso. Giudicata come una delle peggiori crisi umanitarie, la questione Rohingya è ora oggetto dell’attenzione dei media e della comunità internazionale.

Al momento, la crisi è gestita ed affrontata attraverso l’azione coordinata dei governi di Myanmar e Bangladesh insieme ad agenzie delle Nazioni Unite (Onu) come il Programma per lo sviluppo (Undp) ed il Consiglio per i diritti umani (Unhrc). Il Myanmar ha attuato le direttive della Commissione consultiva sul Rakhine condotta da Kofi Annan e richiesta da Aung San Suu Kyi. Negli ultimi mesi, il governo birmano ha costruito ed allestito i campi di accoglienza per il rimpatrio dei profughi Rohingya. Lo scorso agosto, una delegazione del Bangladesh si è recata in visita a Naypyidaw, dove ha incontrato i ministri del Myanmar per concludere gli accordi sul ritorno dei Rohingya. I rappresentanti del governo di Dhaka hanno anche visitato le strutture di ricezione e transito costruite in Rakhine, lungo il confine tra i due Paesi.

Tuttavia, pochissimi profughi indù [anche loro fuggiti dalle violenze] fanno ritorno in Myanmar; la maggior parte dei Rohingya non rientra perché non si fida delle rassicurazioni del governo birmano sulla sicurezza. Allo stesso tempo, circolano notizie su militanti Rohingya che uccidono i rifugiati indù e Rohingya che vogliono tornare in Myanmar.

In Rakhine, i conflitti tra comunità sono iniziati nel 2012. Vi sono episodi di violenza collettiva tra la popolazione locale e quella musulmana. Nell'agosto 2017, dopo che i militanti Rohingya hanno attaccato gli avamposti delle forze di polizia regionali, l'esercito del Myanmar ha risposto con forza. A causa delle azioni compiute dai militari, migliaia di Rohingya sono fuggiti in Bangladesh per salvare le proprie vite. Secondo i rapporti dell’Unhrc, 120mila rifugiati soggiornavano in 36 campi per sfollati prima degli scontri di agosto 2017.

Alcuni studi hanno dimostrato che queste violenze settarie in Myanmar erano dovute a discorsi di incitamento all’odio. Prima del 2012, nelle aree del conflitto era operativo il movimento buddista 969 ed erano piuttosto diffusi dvd audio/video che attaccavano i musulmani. Si ritiene che questo movimento buddista fosse guidato dal gruppo Ma Ba Tha.

Ma Ba Tha è l’acronimo del Comitato per la protezione di razza e religione. In passato, prima del 2010, i monaci predicavano soprattutto le virtù buddiste. Intorno al 2012, essi hanno iniziato a parlare di tutela dell’identità etnica e religiosa.

Dobbiamo tener conto che il Myanmar è stato un Paese isolato per più di cinquant'anni. I birmani non avevano la possibilità di interagire con il mondo esterno o la comunità internazionale e viceversa. Quando nel 2010 si è instaurato un sistema democratico parlamentare, alcuni hanno iniziato a pensare che il buddismo e la cultura birmana sarebbero stati influenzati in larga misura dalla società democratica e aperta. Sebbene la Costituzione riconosca la libertà di religione, molti cittadini considerano il Myanmar un Paese buddista e tendono a preoccuparsi per l'influenza delle altre religioni, in particolare dell'islam.

In questo contesto, l'organizzazione nazionalista buddista Ma Ba Tha ed il famigerato monaco infame U Wirathu insinuano la paura e l'odio nei molti seguaci buddisti ignoranti attraverso le loro prediche. Le violenze settarie dal 2012 in poi ne sono conseguenza. Ma un fatto interessante è che prima degli scontri, gruppi non identificati (composti da persone estranee alle comunità locali) sono apparsi dal nulla ed hanno iniziato a colpire persone e distruggere proprietà.

In Myanmar, in genere vi erano due gruppi di associazioni buddiste: Ma Ha Na e Ma Ba Tha. Ma Ha Na è il Comitato statale Sanga Mahar Naryaka, il massimo organo del buddismo birmano. Questa associazione è composta da 47 tra monaci anziani e religiosi di alto rango. Il governo birmano porta molto rispetto verso di essi, elargisce donazioni e rende loro onore. Durante la visita apostolica in Myanmar dello scorso anno, papa Francesco ha incontrato i monaci del Ma Ha Na. Questa associazione monastica statale è tuttavia criticata da laici e monaci perché ritenuta sotto l’eccessiva influenza del ministero della Religione e della Cultura.

Ma Ba Tha è nota per il suo estremismo. Tra il 2014 ed il 2017, il gruppo pubblicava quattro riviste. Tuttavia, queste quattro riviste non esistevano più già dalla metà del 2017. Al momento, possiede solo un giornale: Myanmar U Dan. La pubblicazione tratta tematiche come storia, scritture e insegnamenti buddisti; critiche a personaggi pubblici come Aung San Suu Kyi, la sua National League for Democracy (Nld) e chi si oppone a Ma Ba Tha; le minacce islamiche; resoconti sulle attività del gruppo e giustificazioni sul coinvolgimento dei monaci nella politica. Alcuni tra i sostenitori e finanziatori dell’organizzazione sono ex leader militari ed ex parlamentari.

A causa dello scontro tra Ma Ba Tha ed il governo guidato dalla Nld, il Ma Ha Na ha ordinato agli estremisti buddisti di cambiare il nome dell'organizzazione. La maggior parte dei leader ha accettato ed il nuovo nome è Buddha Dhama Parahitha Foundation (Fondazione per gli insegnamenti compassionevoli del Budda). Nonostante le tensioni, il governo civile e l’associazione non hanno perso la loro influenza e popolarità tra i buddisti del Myanmar. Ma Ba Tha è stato anche coinvolto in attività di beneficenza e operazioni di soccorso durante le calamità naturali. Quindi i buddisti birmani sentono che Ma Ba Tha sia più vicino ai laici e alle loro vite quotidiane.

Alcuni buddisti birmani hanno accusato la popolazione musulmana di aver iniziato le violenze in Rakhine nel 2012. Si ritiene che esse siano scoppiate in seguito alla notizia o voce che individuava in uomini musulmani gli autori dello stupro di una ragazza Rakhine. “Dove c'è un musulmano, c'è uno stupro”, dicevano. I nazionalisti hanno accusato l'intera religione per il crimine. Tuttavia, quando i media mostrano alcuni monaci buddisti che abusano sessualmente bambini, essi non incolpano la religione buddista. Le accuse sono di parte ed unilaterali.

Allo stesso tempo, bisogna notare che ritratti unidimensionali e negativi esistono anche dall'altra parte. Ad esempio, i musulmani definiscono i monaci buddisti “teste rasate che rubano ai poveri”. Devono però essere raccontate anche le manifestazioni di reciproco rispetto tra queste due comunità. Tuttavia, poiché il Myanmar è un Paese a maggioranza nazionalista buddista, la persecuzione contro le altre religioni rischia di essere più forte.

Ma i problemi del Myanmar non si limitano al Rakhine. Il Paese è composto da sette Stati e regioni etniche. Tra gli oltre 100 gruppi etnici riconosciuti, ve ne sono sette principali. I Bamar sono la maggioranza nella popolazione (68%) e nel Tatmadaw (l’esercito del Myanmar). Gli altri gruppi etnici hanno accettato di ottenere l'indipendenza dal dominio britannico con la promessa di autonomia ed autodeterminazione nelle rispettive regioni. Così, quando questa promessa fu infranta, negli anni '50 molti gruppi etnici hanno imbracciato le armi per ribellarsi contro il governo centrale. Il Myanmar ha sofferto di una delle guerre civili più lunghe del mondo.  A causa del conflitto, in particolare nella parte sud-orientale del Paese, le popolazioni di etnia Karen dello Stato di Kayah hanno cercato rifugio in Thailandia per decenni.

Lo Stato etnico di Chin è uno tra i meno sviluppati. Molti Chin stanno cercano rifugio a livello regionale ed internazionale, per sfuggire alla carestia e alla povertà estrema. La terra dei Kachin, nel nord del Myanmar, è vittima di un decennale conflitto armato tra i ribelli cristiani del Kachin Independence Army (Kia) e le truppe governative. Ripresi nel 2011, i combattimenti hanno causato circa 130mila sfollati, che ora vivono in 165 campi per sfollati interni (IDP’s).

La comunità ed i media internazionali prestano poca attenzione agli IDP Kachin. Questo è il motivo per cui, di recente, alcuni mezzi di comunicazione hanno dichiarato che quello in Kachin è “un conflitto dimenticato”.

Oltre il 90% dei Kachin sono cristiani. Durante gli ultimi sette anni di conflitto, più di 100 villaggi sono stati abbandonati o distrutti e diverse chiese cristiane sono state saccheggiate e abbattute. Il popolo Kachin ed il Kia chiedono al governo l'autodeterminazione e diritti di autonomia. Le truppe di Naypyidaw stanno combattendo i ribelli nonostante i colloqui in corso e la Conferenza di pace. Alcuni vedono nei combattimenti una guerra per le risorse naturali: la terra dei Kachin è ricca di preziose risorse minerarie come oro, giada, rubini, ambra e legni pregiati. Secondo alcuni rapporti, le miniere di giada nello Stato producono tonnellate di giada per un valore compreso tra gli 8 ed i 40 miliardi di dollari Usa ogni anno.

Tra chi trae benefici dalla guerra nel nord del Myanmar vi è la Cina. Pechino compra pietre preziose e tonnellate di legno di qualità a prezzi stracciati sia dall'esercito governativo che dai ribelli Kachin. Ultimamente, la Cina acquista giada con un prezzo molto basso. Ciò influenza il mercato di tutto il Myanmar. La Cina ha costruito raffinerie e impianti petrolifere nelle aree costiere del Rakhine, oltre ad un gasdotto che unisce lo Stato birmano alla provincia meridionale dello Yunnan. Non si possono ignorare gli investimenti cinesi nella maggior parte dei settori economici del Myanmar.

Se la discriminazione etnica e religiosa è ovvia nella struttura legale, nel Paese per le minoranze vi è una anche barriera amministrativa. Oggi i nazionalisti buddisti mostrano intolleranza verso i non buddisti. Essi prendono di mira non solo i musulmani, ma anche i cristiani. Il 30 ottobre 2017, Sithagu Sayadaw (un monaco buddista) ha dichiarato che le vite di migliaia di soldati non buddisti sono senza valore.

Di recente, il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e primo porporato birmano, ha pubblicato un appello. “La storia del Myanmar è una storia ferita”, scrive il cardinale nel suo messaggio, inviato a “quanti siano interessati alla pace” nel Paese. Egli sottolinea come il Paese stia attraversando “una fase storica impegnativa”; rinnova il suo sostegno alla leader democratica Aung San Sui Kyi; sottolinea “l’importante ruolo dell'esercito nella transizione democratica”. L’arcivescovo di Yangon rivolge infine un invito alla comunità internazionale. Criticando l’uso di “termini estremi”, afferma: “[Parole come] Genocidio, pulizia etnica, sanzioni, Icc non aiutano nel nostro cammino verso la pace e la democrazia. Abbiamo bisogno di cooperazione e accompagnamento da parte della comunità internazionale”.