Papa: siamo cristiani, ma spesso 'lasciamo Gesù in chiesa'

“Riduciamo il Vangelo a un fatto sociale, sociologico, e non a un rapporto personale con Gesù. Gesù parla a me, parla a te, parla a ognuno di noi”. “Chiediamo allo Spirito Santo che ci spalanchi le porte del cuore, affinché Gesù possa entrare, affinché non solo udiamo Gesù”, ma ascoltiamo il suo messaggio.


Città del Vaticano (AsiaNews) – Siamo cristiani, nati in una società cristiana, ma spesso “lasciamo Gesù in chiesa”, “non torna con noi a casa: nella famiglia, nell’educazione dei figli, nella scuola, nel quartiere… ”. L’ha detto papa Francesco nell’omelia della messa che ha celebrato stamattina a Casa santa Marta, prendendo spunto dal passo del Vangelo di Luca (Lc 10,13-16) che racconta il rimprovero di Gesù alla gente di Betsàida, Corazìn e Cafàrnao, che non hanno creduto in lui nonostante i “prodigi”.

Gesù, ha sottolineato Francesco, “è addolorato per essere respinto”, mentre città pagane come Tiro e Sidone, vedendo i suoi miracoli “di sicuro avrebbero creduto”. E piange, “perché questa gente non era stata capace di amare”, mentre Lui “voleva arrivare a tutti i cuori, con un messaggio che non era un messaggio dittatoriale, ma era un messaggio d’amore”.

Al posto degli abitanti delle tre città, ha proseguito il Papa, mettiamo noi, mettiamo me. “Io che ho ricevuto tanto dal Signore, sono nato in una società cristiana, ho conosciuto Gesù Cristo, ho conosciuto la salvezza”, sono stato educato alla fede. E con molta facilità mi dimentico di Gesù. Poi invece “sentiamo notizie di altra gente che subito ascolta l’annuncio di Gesù, si converte e lo segue”. Ma noi siamo “abituati”. “E quest’abitudine ci fa male, perché riduciamo il Vangelo a un fatto sociale, sociologico, e non a un rapporto personale con Gesù. Gesù parla a me, parla a te, parla a ognuno di noi. La predica di Gesù è per ognuno di noi. Come mai quei pagani che, appena sentono la predica di Gesù, vanno con lui, e io che sono nato, sono nata, qui, in una società cristiana, mi abituo, e il cristianesimo è come fosse un’abitudine sociale, una veste che ho indosso e poi la lascio? E Gesù piange, su ognuno di noi quando noi viviamo il cristianesimo formalmente, non realmente”.

Se facciamo così, siamo un po’ ipocriti, con l’ipocrisia dei giusti. “C’è l’ipocrisia dei peccatori, ma l’ipocrisia dei giusti è la paura all’amore di Gesù, la paura di lasciarsi amare. E in realtà, quando noi facciamo questo, cerchiamo di gestire noi il rapporto con Gesù. ‘Sì, io vado alla Messa ma tu fermati nella Chiesa che io poi vado a casa’”. “E Gesù non torna con noi a casa: nella famiglia, nell’educazione dei figli, nella scuola, nel quartiere… ”

Così Gesù rimane là in Chiesa, “O rimane nel crocifisso o l’immaginetta”. “Oggi può essere per noi una giornata di esame di coscienza, con questo ritornello: ‘Guai a te, guai a te’, perché ti ho dato tanto, ho dato me stesso, ti ho scelto per essere cristiano, essere cristiana, e tu preferisci una vita a metà e metà, una vita superficiale: un po’ sì di cristianesimo e acqua benedetta ma niente di più. In realtà, quando si vive questa ipocrisia cristiana, quello che noi facciamo è cacciare via Gesù dal nostro cuore. Facciamo finta di averlo, ma lo abbiamo cacciato via. ‘Siamo cristiani, fieri di essere cristiani’, ma viviamo come pagani”.

Ognuno di noi, ha concluso il Papa, pensi: “Sono Corazìn? Sono Betsàida? Sono Cafarnao?”. E se Gesù piange, chiedere la grazia di piangere anche noi. Con questa preghiera: “Signore, tu mi hai dato tanto. Il mio cuore è tanto duro che non ti lascia entrare. ho peccato di ingratitudine, sono un ingrato, sono una ingrata”. “E chiediamo allo Spirito Santo che ci spalanchi le porte del cuore, affinché Gesù possa entrare, affinché non solo udiamo Gesù”, ma ascoltiamo il suo messaggio di salvezza e “rendiamo grazie per tante cose buone che ha fatto per ognuno di noi”.